Sappiate che posso prestare, regalare, spedire.........
Un blog fatto a uso e consumo degli amici, vecchi e nuovi, per trascinarli in questa grande passione, e perché "invitare qualcuno a mangiare da te significa incaricarsi della sua felicità per tutto il tempo che sta sotto il tuo tetto", e anche perché "cucinare per le persone alle quali si vuole bene significa impegnare del tempo pensando ai loro gusti, alla loro crescita e al loro benessere".
Andiamo a incominciare
Basta fare un giro al mercato.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
martedì 31 gennaio 2012
I libri di cucina
Ho aggiornato con gli ultimissimi acquisti, in verde, l'elenco dei miei libri di cucina, che vedo spesso consultato.
lunedì 30 gennaio 2012
Frittata con i broccoli
Due ricettine ultrarapide, per non perdere l'abitudine di scrivere quello che cucino e che mi piace. La prima ricettina è mutuata da una quiche che ho fatto nel passato, di grande soddisfazione.
Si tratta di comperarsi un po' di broccoli e di farli a pezzettini abbastanza piccoli da poter essere cotti nel cestello a vapore in pochi minuti. In questi minuti farai a cubetti una fetta di speck spessa 5-10 millimetri che matterai in padella a prendere il colore. Poi la levi e nella stessa padella rosoli una mezza cipolla, un cucchiaio di olio evo e i broccoli.
Quando tutto è pronto rompi le uova, le sbatti, le sali, ci metti un po' di ricotta setacciata e mescoli tutto assieme.
Termini la frittata alla solita maniera.
Più veloce di così........
Si tratta di comperarsi un po' di broccoli e di farli a pezzettini abbastanza piccoli da poter essere cotti nel cestello a vapore in pochi minuti. In questi minuti farai a cubetti una fetta di speck spessa 5-10 millimetri che matterai in padella a prendere il colore. Poi la levi e nella stessa padella rosoli una mezza cipolla, un cucchiaio di olio evo e i broccoli.
Quando tutto è pronto rompi le uova, le sbatti, le sali, ci metti un po' di ricotta setacciata e mescoli tutto assieme.
Termini la frittata alla solita maniera.
Più veloce di così........
Filetti di triglie? No.........
Oggi si mette prima la foto, che è carina, e sembra una montagnola di filetti di triglie saltati in padella.
Invece no.
Trattasi del solito finocchio, saltato in padella con l'olio e il peperoncino. Quando ha incominciato a prendere il colore ci ho versato dentro tre cucchiai del mio aceto, che è il frutto di un regalo del mio amico Walter, che ultimamente si è presentato con un barattolino con dentro la madre, anzi la Muë', scritto in genovese.
Questo aceto che mi sono preparato ha il grande pregio di non essere aspro. Per cui ho terminato la cottura come al solito, incoperchiato e a fuoco dolce.
Per soprammercato mi sono anche mangiato la barba del finocchio, perchè sono goloso, anzi "leccardon".
Per un contorno "diverso".
giovedì 26 gennaio 2012
KOS - 2
Achiropìta scendeva
lentamente la stradina che dal resort portava al porto vecchio,
lastricata di piccoli ciottoli bianchi, resi lisci dal tempo.
Camminava lentamente, misurando un passo dopo l'altro, seguendo con
la mente certi suoi disegni che indovinava nelle linee fra i sassi, i
margini dei quali non voleva assolutamente calpestare.
Questo la aiutava a
svuotare la mente completamente, così come quando lavava montagne di
piatti, e quella mattina anche a concentrarsi su un unico pensiero.
Si domandava il senso di
quello che era successo, e soprattutto il fine, ma non riusciva a
trovare risposta. Era profondamente impaurita dal fatto di essersi
abbandonata completamente, anche se solo per qualche ora: aveva
ancora addosso tutte le cicatrici del passato, quando, sempre
sbagliando, si era immaginata di avere finalmente trovato la sua
mezza mela, e aveva preso certe sonorissime facciate il cui rimbombo
le era ancora nelle orecchie. Tutte quelle cicatrici non sarebbero
andate più via, e la più recente addirittura colava ancora alcune
gocce di sangue.
Non se la sentiva proprio
di rimettersi in gioco, troppo era stato il dolore e poca , e breve,
la gioia. Fra l'altro c'era tutto il resto, i figli soprattutto, quel
miserabile ma necessario lavoro e quel meraviglioso sogno che
accarezzava ogni sera prima di addormentarsi, quello di un forno
tutto suo.
D'altro canto quell'uomo
era riuscito ad incantarla. Non solo la sua vicinanza era piacevole
da morire, e le storie che raccontava erano magicamente trasfigurate
nelle sue parole, ma essergli accanto le dava tranquillità e fiducia
nel futuro, sensazioni che non aveva fino ad allora conosciuto. Mai
le era successo di cedere al primo appuntamento, anche se spesso era
stata lei a decidere l'intimità. Ma iersera tutto era stato diverso.
Camminava e pensava,
assorta, fino a che un ciottolo più sporgente degli altri non la
fece scivolare, cadendo per fortuna sulla parte più morbida e
strappandole un piccolo sorriso.
Decise improvvisamente
che sarebbe andata da Maia. C'era solo qualche rampa di scale da fare
e poi sarebbe arrivata.
Maia era la donna con il
terzo occhio, e più di una volta l'aveva aiutata a capire cosa aveva
dentro il cuore. Di lei nessuno sapeva nulla se non il posto dove
abitava, che era casa e studio a un tempo, e anche punto di appoggio
per gatti randagi bisognosi di cure. Maia era una donna senza età,
con il viso come quello delle Sibille della cappella Sistina, solcato
dalla vita, ma principalmente dai racconti delle vite degli altri.
Faceva le carte, solo agli amici, e barattava la sua conoscenza del
futuro per un po' di cibo per gatti. Ma soprattutto aveva le parole
giuste per spingerti a percorrere il tuo destino. Anche lei faceva
parte del mito, del resto come tutto in quell'isola della Grecia.
Achiropìta entrò e
subito fu prese alla gola da un odore vagamente dolciastro,
quell'odore della carne troppo frollata, quella che Maia dava ai suoi
gatti.
“Ti aspettavo”, si
sentì dire da dietro una tenda, ed ebbe subito un tuffo al cuore.
Era tanto che non andava da Maia e già questo era per lei un segno
che qualcosa sarebbe successo, così come era la più lampante
dimostrazione che Maia aveva davvero il terzo occhio.
“Come stai, piccola
mia?” Maia le venne incontro a braccia aperte, con una gatta
dolcemente agganciata alle sue spalle. “Ciao Maia, sai che quando
vengo da te è perchè non sto bene”, “lo so bene, siediti che ci
beviamo un ouzo, quello che mi mandano da Lesbo, poi mi racconterai”.
Intanto che beveva
lucidava le idee su quell'uomo e su quello che avrebbe raccontato, e
per un attimo si domandò se aveva fatto bene ad andare lì, o se non
fosse stato meglio non pensarci più, da subito. Ma era seduta lì e
Maia non era solo la donna dal terzo occhio, era per lei quasi una
madre, e le voleva un bene dell'anima. Achiropìta non aveva
conosciuto la mamma, fuggita subito dopo il parto, e crescere solo
con il padre era stato difficile, anche se c'era in qualche modo
riuscita, ma non come come avrebbe voluto che fosse.
Incominciò allora a
raccontare di quell'uomo, del loro primo incontro, e di come il suo
parlare, forse un po' troppo da signore, l'avesse colpita. Non
l'aveva facilmente dimenticato e nei giorni successivi l'aveva
guardato da lontano, per capire che tipo potesse essere, senza
peraltro capire, perchè sul lavoro era efficiente e irreprensibile.
Si capiva che cucinava animato da una grande passione, e tutte le
cose che preparava, anche lei era riuscita ad assaggiare qualcosa,
avevano il sapore dell'amore che ci aveva messo nel cucinarle. Anche
nel rapporto con i suoi sottoposti era certamente strano: vi erano
giorni in cui sembrava che fossero amiconi e le battute e le risate
si sprecavano, vi erano poi dei giorni in cui la luna sembrava avere
modificato irrimediabilmente il suo atteggiamento, immotivatamente
immusonito e triste. Terribile questa luna, che anche a lei faceva
spesso l'effetto di svegliarsi una mattina con una tristezza salata
dentro il cuore di cui non riusciva a liberarsi.
Le raccontò anche di
come fosse rimasta sorpresa, perchè non se lo sarebbe mai aspettato,
quando lui le chiese di prendere l'aperitivo insieme e di come, per
proteggersi, gli avesse detto che non poteva stare oltre le sette,
quando invece non aveva niente da fare. E di come era stata bene, su
quella seggiola traballante, e soprattutto di come era stato facile
aprirsi con lui e parlare liberamente, cosa che non succedeva da
troppo tempo. La sensazione di leggerezza l'aveva aiutata a decidere,
e quando lui le aveva cinto la vita con il braccio aveva avuto un
sussulto di gioia. Non dimenticò di dire che avevano passato la
notte insieme, ma si rese conto che Maia lo sapeva già.
Maia la guardava
raccontare e gesticolare animatamente, e quel pulcino dalla testa
nera sempre arruffata le faceva, ogni volta che la incontrava, grande
tenerezza. Le voleva bene e non voleva proprio che soffrisse ancora:
sapeva però che Achiropìta aveva la testa dura più del marmo, e
che se avesse deciso di iniziare una nuova storia nulla e nessuno
l'avrebbe distolta, anche a costo di andare incontro alla propria
rovina. Quest'uomo poi la incuriosiva: mai Achiropìta era stata così
precisa e entusiasta nel descriverle qualcuno.
Capì che avrebbe dovuto,
in caso di cattive notizie, aggiustare quello che le avrebbero detto
le carte.
Sparecchiato il tavolino
incominciò a mescolare le carte, puntigliosamente come al solito,
dedicando a quell'attività tutto il tempo che riteneva necessario,
con lentezza, sempre con la stessa sequenza di movimenti. Quel mazzo
di tarocchi, ingiallito e quasi ammuffito, le era stato regalato da
una zingara serba, di ritorno dalla festa delle Saintes Maries de la
Mer, che aveva intuito che entrambe condividevano il terzo occhio.
Non era semplice fare le
carte, soprattutto quando in esse leggeva cose così brutte da farla
stare male: infatti iniziare a farle ad Achiropìta le procurò un
doloroso crampo allo stomaco.
Ciò non ostante
incominciò, anche perchè la donna era curiosa e ansiosa.
Anche se era venerdì,
giorno perfetto per quell'attività, la lettura delle carte si rivelò
da subito difficile. E' ovvio che Maia non avrebbe mai potuto dire
“E' l'uomo giusto” ma Achiropìta si sarebbe almeno aspettata un
piccolo incoraggiamento. Non ottenne neppure quello. Anzi la carta
dell'appeso fu quella che comparve più frequentemente, dimostrando
in un certo qual modo che per
capire
l'essenza di una relazione bisogna guardarla a rovescio.
Achiropìta
sperava ardentemente, in cuor suo, di vedere la carta degli amanti,
che non volle invece uscire. Gli occhi le si stavano allagando e
capiva solo a tratti la voce di Maia, che le diceva che le cose erano
ancora ferme, e che le carte non riuscivano a penetrare nei loro
cuori.
Uscì salutando in
fretta, profondamente delusa, e trovandosi al punto di partenza.
Erano le dieci e e si sentiva di schifo. Capì che non era solo la
delusione, era anche fame.
Decise di andare da
Irene, una sua amica, disordinata dell'amore come lei, con la quale
avrebbe potuto confidarsi.
La trovò nel suo
kafenion dalle porte dipinte di azzurro, con le fotografie
ingiallite dei parenti appese alle pareti alternate a immagini sacre.
C'erano anche due vecchi seduti ai tavoli, così immobili da sembrare
impietriti dall'età.
Irene era stata una donna
bellissima, ardente nell'espressione, con due lanterne azzurre
splendenti al posto degli occhi, incorniciate da una capigliatura
biondissima, che tradiva piuttosto un'origine nordica, o meglio
normanna. I disagi della vita e le scelte sbagliate l'avevano fatta
invecchiare prima del dovuto, sotto il biondo il grigio si indovinava
soltanto, e la prolungata esposizione al sole giustificava e
mascherava i solchi profondi del viso. Ma restava una donna
dolcissima, specie per Achiropìta. Si erano conosciute da pochi
anni, casualmente, mentre facevano la spesa al mercato, ed erano
diventate subito amiche. Non potevano vedersi spesso ma fra loro si
era creata un'intimità profonda, e alla prima occhiata Irene capì
che la sua amica aveva un problema. Dopo averla abbracciata e
ricambiato il suo bacio la fece sedere comoda e le portò un caffè
e un piattino di melomakàrona, ben sapendo quanto lei fosse golosa
di quei dolcetti.
Dopo aver divorato i
primi due dolci incominciò a raccontare, per la seconda volta quella
mattina, la sua ultima avventura. Irene sorrideva, e si vedeva
chiaramente che era contenta per lei.
“Segui il tuo cuore,
Chiropì”, le disse, “cerca di rubare tutta la felicità che
puoi, datti tutta e prendi tutto. Non lasciare niente di tutto ciò
che puoi prendere e non avrai rimpianti. Se quest'uomo è veramente
come dici ti prego di non farmelo neanche conoscere, ché te lo
ruberei”. E rise forte, facendo sussultare le due statue di pietra.
Irene aveva capito tutto,
e Achiropìta fu confermata, se mai ve ne fosse stato bisogno, nella
sua intenzione di non lasciarsi scappare quella che riteneva, a torto
o a ragione, l'ultima,e la migliore occasione.
Non aveva più paura.
domenica 22 gennaio 2012
Marco Polo 5 - patate al gratin
Lo sanno tutti che all'istituto alberghiero si cucinano (e si mangiano) tante patate, ma anche in certe pensioni.....
comunque sia le patate sono proprio buone, e fatte così ancor più. Per me è stata una piccola scoperta, e non mancheranno di certo nei miei futuri menù. Chapeau al mio insegnante di cucina.
Mi scuso se la ricetta non è forse delle più originali ma non devo fare l'originale a tutti i costi, devo mettere ricette gustose e non troppo difficili.
Fai le patate a fette spesse un paio di centimetri e le metti a bollire. Quando saranno belle morbide le disponi sulla tua pirofila, una vicina all'altra. Ti sei già comperato una fetta di prosciutto cotto un po' spessa, e con il suo giusto grasso: la taglierai a cubetti e, per aggiungere sapore a sapore, la farai leggermente rosolare in padella, appena quel che basta perchè si veda il marroncino dell'avvenuta reazione di Maillard. Con il prosciutto ti sei comperato anche analoga fetta di Emmenthal o di formaggio a pasta dura a tuo piacimento, e anch'essa hai ridotto a cubettini.
Ti serve ancora un mezzo litro di besciamella che te la puoi agevolmente preparare mentre scaldi il forno a 180 °C.
Quindi sulle patate distribuisci i due tipi di cubetti e versi la besciamella, spargendola bene dappertutto con il cucchiaio. Ti manca una spolverata di pane grattuggiato e qualche fiocchetto di burro (tanto per non perdere l'abitudine).
La tirerai fuori dal forno quando avrà preso il colore.
L'unica domanda è: antipasto, primo, secondo, piatto unico?
comunque sia le patate sono proprio buone, e fatte così ancor più. Per me è stata una piccola scoperta, e non mancheranno di certo nei miei futuri menù. Chapeau al mio insegnante di cucina.
Mi scuso se la ricetta non è forse delle più originali ma non devo fare l'originale a tutti i costi, devo mettere ricette gustose e non troppo difficili.
Fai le patate a fette spesse un paio di centimetri e le metti a bollire. Quando saranno belle morbide le disponi sulla tua pirofila, una vicina all'altra. Ti sei già comperato una fetta di prosciutto cotto un po' spessa, e con il suo giusto grasso: la taglierai a cubetti e, per aggiungere sapore a sapore, la farai leggermente rosolare in padella, appena quel che basta perchè si veda il marroncino dell'avvenuta reazione di Maillard. Con il prosciutto ti sei comperato anche analoga fetta di Emmenthal o di formaggio a pasta dura a tuo piacimento, e anch'essa hai ridotto a cubettini.
Ti serve ancora un mezzo litro di besciamella che te la puoi agevolmente preparare mentre scaldi il forno a 180 °C.
Quindi sulle patate distribuisci i due tipi di cubetti e versi la besciamella, spargendola bene dappertutto con il cucchiaio. Ti manca una spolverata di pane grattuggiato e qualche fiocchetto di burro (tanto per non perdere l'abitudine).
La tirerai fuori dal forno quando avrà preso il colore.
L'unica domanda è: antipasto, primo, secondo, piatto unico?
Un minestrone "diverso"
Oggi pomeriggio mi sono rimesso dietro ai ravioli di pesce. Avevo il mio ripieno surgelato, l'esperienza dell'altra volta e domani mattina mi farò un qualche sughetto di pesce. Non mi sono venuti male e non si sono appiccicati. Come al solito la dose della pasta era troppa e non potevo farne mille, anche se domani saremo in quattro. La prossima volta basteranno due uova e 250 g di farina.
Con la pasta avanzata mi sono fatto certe fettuccine al coltello veramente spettacolose. Ho cercato di usarle in maniera creativa. Avevo già preparato il minestrone, che dopo le feste è sempre un'ottima cena, non mi vergogno a dirlo con la busta surgelata, a cui faccio qualche integrazione. Per il solito motivo che cerco di fare nove cose insieme mi sono sbagliato con l'acqua, dimodochè quando è stato pronto era proprio asciutto asciutto. Allora le fettuccine le ho bollite a parte, poi le ho sbattute nel minestrone assieme a un paio di cucchiai di acqua della pentola. Un filo d'olio e il parmigiano.
So di mangiare proprio bene!
Con la pasta avanzata mi sono fatto certe fettuccine al coltello veramente spettacolose. Ho cercato di usarle in maniera creativa. Avevo già preparato il minestrone, che dopo le feste è sempre un'ottima cena, non mi vergogno a dirlo con la busta surgelata, a cui faccio qualche integrazione. Per il solito motivo che cerco di fare nove cose insieme mi sono sbagliato con l'acqua, dimodochè quando è stato pronto era proprio asciutto asciutto. Allora le fettuccine le ho bollite a parte, poi le ho sbattute nel minestrone assieme a un paio di cucchiai di acqua della pentola. Un filo d'olio e il parmigiano.
So di mangiare proprio bene!
domenica 15 gennaio 2012
Aspic casereccio
L'aspic è una delle ricette più gettonate del mio blog. Per me è un piccolo mistero, nel senso che non penso che sia una preparazione di grandi qualità. Buono è buono, ci mancherebbe, come tutte le cose che faccio.....
Mi arriva a questo proposito, insieme ai miei cugini, un pacco di squisitezze dalla Calabria. Non mi faccio scappare l'occasione. Ho pensato questo aspic e l'ho messo in pratica: ed è buonissimo. Antipasto, secondo, stuzzichino, è proprio tutto. Mi dispiace di averne fatto così poco, ma rimedierò.
Un paio di etti di soppressata calabrese, quella rossa di peperoncino, fatta a cubettini, e un paio di etti di provola silana, bella fresca che sa di latte, anche lei a cubetti, sono stati gli ingredienti di base. Del resto nel vecchio aspic c'erano (banalmente) prosciutto e formaggio. Dovevo quindi studiare qualcosa da aggiungere, che non fossero i (soliti anche se buoni) cetriolini.
Ci ho pensato tre giorni e ho fatto anche delle prove "sul campo". Ho deciso che ci sarebbe potuto stare bene del sedano. Stanotte ho avuto anche l'illuminazione del quarto ingrediente, le olive, che però ho deciso nere taggiasche, già snocciolate, e comprate dalla mia migliore fornitrice.
Come sempre, detto fatto. Ieri pomeriggio ho confezionato il mio "nuovo" aspic, con un bel litrozzo di gelatina aromatizzata all'aceto bianco, quella in cubetti.
Oggi l'ho tirato fuori dal frigo, l'ho fotografato e me lo sono spazzolato....
Very good, sarebbe piaciuto anche ai miei amici Michele e Achiropìta, che voi conoscete.......
Mi arriva a questo proposito, insieme ai miei cugini, un pacco di squisitezze dalla Calabria. Non mi faccio scappare l'occasione. Ho pensato questo aspic e l'ho messo in pratica: ed è buonissimo. Antipasto, secondo, stuzzichino, è proprio tutto. Mi dispiace di averne fatto così poco, ma rimedierò.
Un paio di etti di soppressata calabrese, quella rossa di peperoncino, fatta a cubettini, e un paio di etti di provola silana, bella fresca che sa di latte, anche lei a cubetti, sono stati gli ingredienti di base. Del resto nel vecchio aspic c'erano (banalmente) prosciutto e formaggio. Dovevo quindi studiare qualcosa da aggiungere, che non fossero i (soliti anche se buoni) cetriolini.
Ci ho pensato tre giorni e ho fatto anche delle prove "sul campo". Ho deciso che ci sarebbe potuto stare bene del sedano. Stanotte ho avuto anche l'illuminazione del quarto ingrediente, le olive, che però ho deciso nere taggiasche, già snocciolate, e comprate dalla mia migliore fornitrice.
Oggi l'ho tirato fuori dal frigo, l'ho fotografato e me lo sono spazzolato....
Very good, sarebbe piaciuto anche ai miei amici Michele e Achiropìta, che voi conoscete.......
sabato 14 gennaio 2012
Risotto con la salsiccia
Il sabato è un giorno più rilassato, puoi pensare alle cose da fare con più distacco, e fra queste c'è anche il cucinare, che non diventa la solita corsa contro il tempo.
Motivo per cui, oltre a riflettere alle ricette già promesse, mi è balzata agli occhi l'immagine di un risottino che avrei potuto tranquillamente produrre, senza bisogno di tante ricerche, sia sullo stampato sia sull'informatico.
Un paio di etti di salsiccia sgranata sono finiti in un padellino, a rosolare e a cedere un po' di grasso, dopodichè un mezzo bicchiere di vino bianco li ha portati a cottura.
Ho deciso che con la salsiccia ci sarebbe stata bene la trevigiana tardiva, un cespo. Una cipolla di Montoro, come al solito soffritta a parte. Il Vialone nano che mi era rimasto in casa l'ho finito. Non dico il peso perchè ho vergogna.
La trevigiana l'ho tagliata trasversalmente in tre parti, perché sono, dal basso verso l'alto, di durezza diversa. Per cui saltarle in padella con un filo d'olio tutte e tre insieme mi è parso poco furbo. Ecco come ho tagliato la trevigiana e i relativi tempi di cottura:
Naturalmente il tempo totale, cioè quello della parte più dura, che viene messa in padella subito, è solo di cinque minuti.
Ed ecco come mi è venuta:
A questo punto ho potuto incomiciare la cottura, al solito modo che non sto a ripetere, del risotto.
Nota bene: avevo in freezer un certo contenitore con un litro e mezzo circa di buon brodo, ma non ricordo più di cosa..... sbattendolo nel microonde a scongelare la parte grassa affiora molto agevolmente e levarla è stato del tutto semplice. Levi grasso ma non sapore.
E allora il mio risottino è andato, con la salsiccia buttata dentro a metà cottura e la trevigiana a due minuti dalla fine. Un po' di burro per mantecare. Due minuti di attesa, quelli che ti servono per apparecchiare.
Dato che l'imperativo del risotto era: "sgrassare", ci ho bevuto sopra un po' di bollicine, Berlucchi Franciacorta '61, rosè, regalo di chi mi vuole bene.
Voto della famiglia (richiesto ma non indotto): 9/10 e 9/10. Tanto mi può bastare.
Motivo per cui, oltre a riflettere alle ricette già promesse, mi è balzata agli occhi l'immagine di un risottino che avrei potuto tranquillamente produrre, senza bisogno di tante ricerche, sia sullo stampato sia sull'informatico.
Un paio di etti di salsiccia sgranata sono finiti in un padellino, a rosolare e a cedere un po' di grasso, dopodichè un mezzo bicchiere di vino bianco li ha portati a cottura.
Ho deciso che con la salsiccia ci sarebbe stata bene la trevigiana tardiva, un cespo. Una cipolla di Montoro, come al solito soffritta a parte. Il Vialone nano che mi era rimasto in casa l'ho finito. Non dico il peso perchè ho vergogna.
La trevigiana l'ho tagliata trasversalmente in tre parti, perché sono, dal basso verso l'alto, di durezza diversa. Per cui saltarle in padella con un filo d'olio tutte e tre insieme mi è parso poco furbo. Ecco come ho tagliato la trevigiana e i relativi tempi di cottura:
Naturalmente il tempo totale, cioè quello della parte più dura, che viene messa in padella subito, è solo di cinque minuti.
Ed ecco come mi è venuta:
A questo punto ho potuto incomiciare la cottura, al solito modo che non sto a ripetere, del risotto.
Nota bene: avevo in freezer un certo contenitore con un litro e mezzo circa di buon brodo, ma non ricordo più di cosa..... sbattendolo nel microonde a scongelare la parte grassa affiora molto agevolmente e levarla è stato del tutto semplice. Levi grasso ma non sapore.
E allora il mio risottino è andato, con la salsiccia buttata dentro a metà cottura e la trevigiana a due minuti dalla fine. Un po' di burro per mantecare. Due minuti di attesa, quelli che ti servono per apparecchiare.
Dato che l'imperativo del risotto era: "sgrassare", ci ho bevuto sopra un po' di bollicine, Berlucchi Franciacorta '61, rosè, regalo di chi mi vuole bene.
Voto della famiglia (richiesto ma non indotto): 9/10 e 9/10. Tanto mi può bastare.
venerdì 13 gennaio 2012
Minestra d'orzo altoatesina
Eccolo, il primo post di cucina del 2012. Lo so, è un po' tardi ma fra lavoro e scuola solo iersera ho trovato il momento giusto per giocare un po' ai pentolini.
Non ho voluto a ragion veduta cercare la ricetta su internet, principalmente perchè non ne ho avuto il tempo, ma solo sui miei libri, e quella del Guarnaschelli mi è sembrata la più interessante.
La minestra di orzo ha come ingrediente particolare lo speck, fatto a cubetti: cercate quindi per cortesia di comperare il migliore che trovate. Lo speck, per chi non lo sapesse, è quel prosciutto crudo leggermente affumicato tipico dell'Italia nordorientale. Può essere altoatesino (coscia disossata, aromatizzata al ginepro e affumicata a freddo e stagionato da 5 a 7 mesi) ma può essere anche quello di Sauris (UD), salato a secco, affumicato con legna più resinosa e stagionato un po' meno. Il bello dello speck è la delicatezza dell'affumicatura. Se poi vi dovesse piacere un più pronunciato sapore affumicato nulla vieta che aggiungiate anche un po' di bacon.
Dato che la verdura è l'ingrediente principale del piatto, e lo speck poteva essere un'aggiunta di un avanzo di un giorno di festa, non ho fatto il soffritto, che comunque porterebbe via un po' di sapore ai cubetti, che invece devono cederlo solo quando sono in bocca.
Quindi nella pentola, con tre litri d'acqua circa, ho buttato: due spicchi d'aglio incamiciati, una grossa cipolla di Montoro, un pugno di prezzemolo tritato, tre carotine, un porro, due grosse patate, tre coste di sedano, tutto fatto a fettine o a pezzetti piccoli. Anche lo speck a cubetti. Mi sono dovuto aiutare con un po' di dado di carne, anche esso comperato in Trentino, in giusta dose per tre litri di acqua. Non ho usato la pentola di terracotta perchè non ne avevo una così grossa, se riducete le dosi la pentola di terracotta sarà perfetta. Quando il "minestrone" ha preso il bollo l'ho fatto andare una decina di minuti e poi ho aggiunto l'orzo perlato, 450 grammi, e ho fatto semplicemente proseguire la cottura per 40 minuti, durante i quali l'orzo è gonfiato e ha assorbito l'acqua, diventando bello morbido.
Se vorrai nel piatto potrai aggiungere un filo di olio e un po' di parmigiano, ma è già buonissima così.
Se poi ne fai tanta tanta o tantissima ti durerà svariati giorni.
Eccola:
N.B. prossime ricette: un aspic un po' particolare, e il pandolce alla genovese. E naturalmente il secondo round dei ravioli di pesce.
Stay tuned.
euge
Non ho voluto a ragion veduta cercare la ricetta su internet, principalmente perchè non ne ho avuto il tempo, ma solo sui miei libri, e quella del Guarnaschelli mi è sembrata la più interessante.
La minestra di orzo ha come ingrediente particolare lo speck, fatto a cubetti: cercate quindi per cortesia di comperare il migliore che trovate. Lo speck, per chi non lo sapesse, è quel prosciutto crudo leggermente affumicato tipico dell'Italia nordorientale. Può essere altoatesino (coscia disossata, aromatizzata al ginepro e affumicata a freddo e stagionato da 5 a 7 mesi) ma può essere anche quello di Sauris (UD), salato a secco, affumicato con legna più resinosa e stagionato un po' meno. Il bello dello speck è la delicatezza dell'affumicatura. Se poi vi dovesse piacere un più pronunciato sapore affumicato nulla vieta che aggiungiate anche un po' di bacon.
Dato che la verdura è l'ingrediente principale del piatto, e lo speck poteva essere un'aggiunta di un avanzo di un giorno di festa, non ho fatto il soffritto, che comunque porterebbe via un po' di sapore ai cubetti, che invece devono cederlo solo quando sono in bocca.
Quindi nella pentola, con tre litri d'acqua circa, ho buttato: due spicchi d'aglio incamiciati, una grossa cipolla di Montoro, un pugno di prezzemolo tritato, tre carotine, un porro, due grosse patate, tre coste di sedano, tutto fatto a fettine o a pezzetti piccoli. Anche lo speck a cubetti. Mi sono dovuto aiutare con un po' di dado di carne, anche esso comperato in Trentino, in giusta dose per tre litri di acqua. Non ho usato la pentola di terracotta perchè non ne avevo una così grossa, se riducete le dosi la pentola di terracotta sarà perfetta. Quando il "minestrone" ha preso il bollo l'ho fatto andare una decina di minuti e poi ho aggiunto l'orzo perlato, 450 grammi, e ho fatto semplicemente proseguire la cottura per 40 minuti, durante i quali l'orzo è gonfiato e ha assorbito l'acqua, diventando bello morbido.
Se vorrai nel piatto potrai aggiungere un filo di olio e un po' di parmigiano, ma è già buonissima così.
Se poi ne fai tanta tanta o tantissima ti durerà svariati giorni.
Eccola:
N.B. prossime ricette: un aspic un po' particolare, e il pandolce alla genovese. E naturalmente il secondo round dei ravioli di pesce.
Stay tuned.
euge
sabato 7 gennaio 2012
KOS
Ecco, per tutti i miei lettori, il primo post del nuovo anno, che non è di cucina.
L'ha scritto il mio alter ego, che a torto si ritiene un letterato, sia pur incompreso: l'ha "covato" per qualche mese e l'occasione della vacanza di fine anno gli ha fornito quella mezza giornata di solitudine necessaria per lucidare le idee, sedersi davanti alla tastiera e iniziare a raccontare, con amore, naturalmente....
"Era stata molto dura
ottenere un posto di capopartita in quel resort dell'isola di Kos.
C'era riuscito tramite quel suo amico, Aldo, a cui, nella vita
precedente, aveva fatto dei piccoli favori, tutti tesi a confermare
una grande amicizia, e che al momento buono era stata parimenti
ricambiata.
Ciononostante aveva
dovuto superare una selezione abbastanza dura, motivo di stress: non
era più un ragazzo, e questo era senza dubbio un handicap rispetto a
certi aitanti giovanotti, bravini, per carità, ma tanto look e poca
sostanza, specie in cucina.
Aveva presentato il suo
curriculum, peraltro discreto, e aveva dovuto impegnarsi per un
periodo di lavoro piuttosto lungo.
Solo, in quell'isola del
Dodecaneso, sia pur a quattro kilometri dalla costa turca, non era
ancora certo di avere fatto la scelta giusta.
Non era stata una fuga,
del resto non aveva legami, aveva un buon lavoro che gli forniva uno stipendio di tutto rispetto e qualche microsoddisfazione ma la cucina
era stata troppo esigente: gli aveva chiesto di dedicarsi solo a Lei.
Anche se lasciare tutto gli aveva procurato grande paura il desiderio
di cambiare vita, e di fare “davvero” il cuoco, aveva finalmente
prevalso.
Tante erano che cose che aveva dovuto lasciare, e l'andare
a stare in un'isola l'aveva anche obbligato a scegliere, con grande
precisione, ciò che era veramente necessario portarsi dietro, e
lasciarsi dietro orpelli di varia entità e natura.
Del resto l'isola era
incantevole, e presto ogni nostalgia si sciolse in quel clima ricco
di natura e di storia.
Il suo Chef, come tutti
gli Chef che aveva conosciuto, era assillato dalla paura di perdere
il potere, quel piccolo potere che ha ogni Chef, il potere di
comandare un certo numero di persone, e il suo comportamento era più
dettato dalla paura dell'insubordinazione che dal desiderio di
costruire un squadra, una squadra che funzionasse come quegli orologi
svizzeri che una volta lo stato italiano dava in dotazione ai
capistazione.
Ma Michele lo aveva già
ben inquadrato, motivo per cui il suo atteggiamento era stato di puro
servilismo, quello che del resto era a lui richiesto.
Gli era stata affidato il
ruolo di chef poissonier, che, visto che il resort era in un'isola,
era comunque un ruolo di grande impegno e responsabilità: si sarebbe
visto nel volgere dei giorni come sarebbe andata, ma lui non aveva
nessuna paura: sapeva come cavarsela.
La cucina non era niente
male, attrezzata piuttosto bene e con una splendida macchina di
cottura a induzione. Anche la brigata era stata una piacevole
sorpresa, tutti colleghi e colleghe più giovani di lui ma aperti e
disponibili, che lo avevano accolto non come un vecchietto ma come un
fratello maggiore, e questo era stato il suo più bel regalo di
arrivo.
Nella sua partita aveva
due commis di venti e di venticinque anni, due giovanotti quasi belli
come i bronzi di Riace, Gheorghiòs e Nicòlaos, disponibili e
volenterosissimi ma impreparati a decidere qualsiasi cosa in prima
persona. Li avrebbe addestrati lui, che non si preoccupassero.
Anche la sua sistemazione
era buona. Aveva ben capito che non poteva aspettarsi una terrazza
sul mare ma comunque la sua camera non era troppo piccola, e la cosa
che a lui interessava di più, il wi-fi, era perfetto: grande
velocità, 54 Mbps. Era la sua vera finestra sul mondo, vedere senza
essere visti, parlarsi senza toccarsi, non dover chiedere il permesso
a nessuno.
Scese giù per il
servizio della sera. Aveva da preparare “soltanto” 330 cocktail
di gamberi e 120 aragoste alla catalana, ma non era il caso di
preoccuparsi: la struttura e il personale che aveva dietro di sé
avrebbero garantito un perfetto risultato. Del resto quanto volte
aveva allestito pranzi, per amici e non, completamente da solo, anche
per una trentina di persone. Era solo una questione di
organizzazione. Andò a vedere i crostacei: erano davvero molto belli
e i suoi cocktail sarebbero stati perfetti. Affidò ai due ragazzi i
compiti da eseguire e la sequenza con cui farli e iniziò a guardarsi
intorno.
Erano solo quarantotto
ore che era lì ma sentiva salire un antico desiderio.
Adocchiò, nella folla
della brigata, una donna dai lunghi capelli corvini, da tempo non
pettinati, e dagli occhi altrettanto neri, così neri da non potervi
distinguere la pupilla dall'iride, dall'espressione aggressiva, non
più giovanissima ma di età comunque indefinibile, forse sulla
quarantina, forse meno. Gli sembrò alta quasi come lui, ma i capelli
probabilmente lo ingannavano. La divisa e il lavoro che stava facendo
raccontavano il suo ruolo, quello di plongeuse, il più faticoso.
Sulle prime non capì
bene se fosse una “bella” donna o solo una donna “interessante”:
le braccia gli ricordavano un po' la Madonna del Tondo Doni ma la
vita era aggraziata, sfumante in due fianchi di tutto rispetto. Il
seno, non piccolo, non era per niente pendulo, e lasciava immaginare
due capezzoli fieramente rivolti in avanti.
Chissà cosa c'era dietro
e cosa dentro quella donna, che emanava un'animalità incredibile,
fiutabile a lunga distanza.
Con la scusa di
controllare come lavoravano i ragazzi, e dando loro qualche piccola
dritta per far prima e meglio, chiese loro chi fosse la donna. Gli
risposero che sapevano soltanto che si chiamava Achiropìta, e che
solo da pochi giorni lavorava nel resort. Michele, che aveva fatto il
liceo classico, sapeva che quel nome si riferiva a un ritratto
“miracoloso” della Vergine, “non dipinto da mano umana”. Di
più non riusci a sapere.
Si concentrò sul
servizio, che fu, insieme naturalmente al resto delle portate,
veramente splendido. Si riservò una mezza aragosta e convenne fra sé
e sé, che era semplice e squisita, anche se lo Chef la definì
soltanto discreta. Ma non c'era niente di cui stupirsi, sarebbe stato
strano il contrario.
Quella sera, verso l'una,
tornò nella sua cameretta, stanco, soddisfatto e soprattutto
incuriosito. Come sempre succedeva faticò parecchio a prendere
sonno, uno dei tanti segni di invecchiamento che lo torturavano.
La mattina dopo, avendo
un'oretta libera, girò un po' per l'isola, cercando lì in giro
qualche posticino tranquillo e riparato, per potersi fare un bagno in
pace. Era giugno e non c'era ancora molto caldo, se mai su un'isola
possa mai esserci quel caldo che si sente in continente. L'acqua era
meravigliosa, e il fondo era visibile con nitore, e bellissimo. Un
momento di pace col mondo come quello meritava una sigaretta, e che
diamine! Se la accese, e anche se non era una Marlboro,la assaporò
con piacere. “Lo so che fa male”, pensò.
Arrivò al lavoro con
dieci minuti di anticipo, appena in tempo per vedere, non visto, lo
Chef che, stupido aguzzino, si era imbarcato in una violenta
reprimenda contro Achiropìta. Michele non capì per quale motivo,
era troppo lontano. Sentiva solamente delle grida, e vedeva lo Chef
brandire dei coltelli evidentemente non troppo lucenti. La donna
stava zitta ma dagli occhi uscivano certe fiamme soltanto invisibili.
Era ovvio che avesse un bisogno estremo di lavorare, altrimenti non
sarebbe rimasta un minuto di più lì, e lo Chef si sarebbe trovato
un orecchio in meno.
Dopo la sfuriata Michele
si avvicinò alla donna, sentendo che quella avrebbe potuto essere
una buona occasione per stabilire un contatto. Fra l'altro lui era un
capopartita, ben riconoscibile nella sua divisa. “Potenza della
gerarchia”, pensò.
“Non te la prendere, è
solo un cretino. Cosa avresti combinato?”
La donna lo guardò con
aria fiera ma ancora impaurita. “Dice che non ho lavato bene i
coltelli, ma con questo sapone è il massimo che riesco a fare”.
Achiropìta aveva sentito, con grande facilità, il passaggio di un
fluido di “sim-patia”, che poi è il “soffrire insieme”, e la
sua risposta era stata a un tempo spiegazione e richiesta di condivisione.
Potenza della
comunicazione non verbale! Michele incominciò, sommessamente, a
raccontarsi, con tutta la naturalezza di cui era capace, vista la
situazione, e stette lì cinque minuti ancora; lei, continuando a
lavare e china nella plonge, ascoltò, e non sembrava infastidita,
solo ancora un po' sospettosa.
Michele si congedò con
la scusa del lavoro, semplicemente. Riuscì a rubarle un mezzo
sorriso, più degli occhi che della bocca, ma se ne stette, anzi, ne
fu parecchio contento.
Il servizio del
mezzogiorno e quello della sera andarono bene, come sempre la qualità
della cucina dipende dall'eccellenza delle materie prime e lì erano
veramente eccellenti. Ma la testa di Michele era altrove, affascinata
da quella donna, mezza Giunone e mezza Minerva, e anche mezza
Afrodite, se ne convinse.
Chissà cosa nascondeva
dietro quegli occhi e soprattutto chissà che impressione lui le
aveva suscitato.
Dopo una settimana di
saluti cortesi ma formali, dovuti anche alla differenza di orari di
lavoro, un pomeriggio Michele, nel suo giorno di festa, la aspettò
alla fine del turno, soprattutto per vederla in abiti “civili”.
Realizzò che era più bassa di lui, e che avrebbe potuto agevolmente
passarle il braccio dietro la vita.
Achiropìta aveva un
abitino di cotone stampato, di un colore leggermente più scuro del
lillà, quasi un violetto, su cui spiccavano certe apine nere,
variamente orientate. Il decolletè era ben esposto ma senza nessuna
volgarità e l'orlo del vestito era appena sopra il ginocchio. Un
vestitino estivo, non trasparente ma sottile, da cui si poteva
facilmente capire ciò che vi era di sotto.
Era l'ora dell'happy hour
e le disse, con una titubanza che solo lui sentì: “Verresti a bere
qualcosa con me?”. Riuscì a sorprenderla e a imbarazzarla, anche
se la sua carnagione olivastra gli impedì di vedere l'arrossimento.
Non se lo sarebbe aspettato. Dopo un solo attimo di riflessione
rispose, decisa, “Sì, ma alle sette devo andare a casa”. “Non
c'è problema, anche io più tardi ho un impegno”, mentì Michele,
con grande naturalezza.
Trovarono, a un dipresso
dalla strada principale, un'attività commerciale pomposamente
autodefinitasi “bar”, corrispondente a tre tavolini disposti in
mezzo a due case, ciascuno con due seggiole impagliate, ma fra quelle
due case c'era uno scorcio di mare talmente bello che non c'era
proprio nessun bisogno dell'aperitivo.
Ma bevvero lo stesso, lei
ordinò un bicchiere di Retsìna, lui, anche per farsi coraggio, un
Metaxa col ghiaccio.
Entrambi erano
affascinati dalla vista, soprattutto lei, che probabilmente non era
nativa di Kos. Dopo qualche minuto, intenti a bere, Michele disse:
“Allora, raccontami la tua vita in quest'ora che ci resta”.
“Non è una gran bella vita da raccontare”, rispose lei. “E
neanche lunga. Lavoro con quel personaggio orribile perchè non posso
farne a meno. Sono di Bodrum, l'antica Alicarnasso e ho due figli, che ho dovuto
affidare a mia madre. Devo mantenerli tutti e tre con il mio lavoro
e, ti assicuro, alla fine del mese i soldi non mi bastano mai. Ma non
sarà sempre così. Faccio la sguattera ma sono molto brava a fare il
pane, me lo ha insegnato il fratello di mio padre. Quando potrò, aprirò un negozio soltanto mio, e venderò il miglior pane di tutta
la città”.
Michele ascoltava, e
beveva parole e Metaxa, avidamente. Gli occhi neri di lei si
agitavano in continuazione e da essi sprigionavano la speranza e
l'entusiasmo di un futuro più bello.
Era bello chiaccherare in
quell'angolo tranquillo, con la luce della sera che scemava a poco a
poco, e parimenti le luci dell'isola si accendevano una ad una.
Entrambi in cuor loro
desideravano che il tempo rallentasse, e che quei momenti,
dolcissimi, durassero almeno tutto il resto della loro vita. Quando
furono le sette, marcate dal suono di una campana in lontananza,
nessuno dei due vi fece caso, perchè in quel momento erano così
vicini, e così bisognosi di avere qualcuno vicino, che non volevano
interrompere quella piccola magìa.
Fu quindi naturale per
Michele chiedere all'oste di portare qualcosa da mangiare, e per
Achiropìta, bellezza non dipinta da mano umana, accettare quel muto
invito a pranzo.
Dimenticò per un'oretta
di essere cuoco, e le dolmàdes, involtini di foglie di vite, e la moussakà
furono ancora meglio delle sue aragoste.
Quando fu troppo tardi,
anche per quel bar, si congedarono con tanti ringraziamenti e una
mancia principesca, per quell'oste che era stato il loro involontario
Cupido.
Ritornarono al resort,
abbracciati, come lui si era figurato solo qualche ora prima, e lei,
sentendo il suo braccio stringerla forte, ne provava una sensazione
di grande pace.
Trascorsero la notte
insieme e Michele capì compiutamente la bellezza di affondare la
testa fra i suoi lunghi capelli. Sopratutto riuscì, come mai era
successo prima, a svuotare completamente la sua testa, a non pensare
più a nulla se non a sentire il battito del cuore di lei, divenuto sincrono
al suo. Lei non aveva mai incontrato un uomo così, del quale anche
solo l'abbraccio le colmava il cuore.
Non fu una notte da
diciottenni, fu una notte così dolce che a diciotto anni non si
riesce neanche a immaginare.
La mattina presto,
impaurita dall'essersi donata così totalmente a un estraneo, ma che
estraneo non si era dimostrato, e per così dire “chiamata” dalla
brezza di terra, Achiropìta si vesti in fretta e, senza neanche un
bacio, fuggì nelle viuzze di Kos, spaventata dalla felicità.
Anche lui era sveglio ma
fece finta di dormire. In quel momento non avrebbe trovate le parole,
se mai ve ne fossero state".
5.1.2012
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