Andiamo a incominciare

Basta fare un giro al mercato.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.

sabato 31 marzo 2012

Risotto con i topinambur

Scrivo da scuola, mentre i miei compagni finiscono la verifica di francese. Io l'ho appena consegnata. Chissa' se l'ho fatta bene come al solito. Essendo il più vecchio ho questa (auto)condanna, non posso prendere sei. Vabbè, un'oretta ho studiato.
Intanto incomincio a scrivere. Il tempo è sempre meno, e bisogna ottimizzarlo.

Questi topinambur sono una cosa molto carina e molto buona, credo che li chiamino anche patate francesi. A questo proposito condivido un cartello trovato da uno dei miei fornitori, troppo simpatico.

Il link su Wikipedia è questo: topinambur.
Quindi me li sono puliti e li ho affettati sottili, dopodichè li ho saltati in padella con aglio e rosmarino, non tanto, solo per rosolarli e fargli perdere un po' di acqua.

A questo punto mi sono messo a fare il mio risottino come al solito, come l'ho scritto qui tante e tante volte. I topini li ho messi un attimo dopo che ho incominciato a versare il brodo.
La cosa bella dei topini è che in bocca ricordano un po' i carciofi.

Eccolo qui, sembrano funghi.....


















p.s.: se vuoi fare un piatto unico la salsiccia non ci starà certo male.......

domenica 18 marzo 2012

Marco Polo 7 - uova affogate alla fiorentina

Si prepara a scuola e si rifà a casa, sia perché è una buona ricetta sia perché così te la fissi in testa.
Questa ricetta ha l'unico inconveniente di essere di preparazione relativamente lunga e di spazzolamento ultrarapido, per cui, anche se sei contento, vedi la tua fatica sparire dai piatti in meno di tre minuti. Come gli applausi per l'attore questo è proprio il pane del cuoco.
Bando alle ciance.
Ringraziamento: al nostro Chef di scuola, che anche questa volta mi ha stupito.

Intanto ti fai la besciamella come al solito, che poi ti servirà. Con mezzo litro di latte. Ultimamente ho la fissa di spremerci dentro un po' di concentrato di pomodoro, diciamo che è la moda del momento.
Poi ti comperi il pane carrè, per fare la base dei tuoi crostoni. Ma non è detto che non vada bene anche una adeguata fetta di pane toscano, anzi, il pan carrè è forse più ....  da albergo.



I tuoi crostoni li condisci con un filo d'olio, sale e poco pepe e un po' di parmigiano grattugiato, e li sbatti in forno a diventare croccanti.











Sopra il pane carrè ci vanno gli spinaci, freschi, se vuoi che sappiano di qualche cosa, e quindi ti dovrai sobbarcare l'onere di pulirli bene. Poi li cuoci diciamo tre minuti con il cestello del vapore. Li strizzi e li raffreddi e li salti in padella con un po' di burro.



Quando sono pronti li cospargi di parmigiano e li disponi sui tuoi crostoni, facendo una piccola "culla" per l'uovo che arriverà.










Adesso puoi metterti dietro all'uovo in camicia. La solita acqua acidulata con pepe e alloro, che sobbolle, tre minuti. E' opportuno riempire la pentola a pochi centimetri dall'orlo, per due buoni motivi: 1) più è l'acqua e più e facile controllare la temperatura; 2) più alta è l'acqua e più delicatamente riesci a farci scivolare dentro l'uovo.


Passati i tre minuti lo metti in acqua ghiacciata per bloccare la cottura. E lo metti nella sua culla.
















Dài, che hai quasi finito. Ricopri il tutto con la besciamella e fai gratinare in forno.













Bon appetit!!!




domenica 11 marzo 2012

Piatto unico del mezzogiorno della domenica: cannelloni

Unico perché ci sono, oltre agli zuccheri, anche le proteine, le vitamine, i sali minerali e una buona dose di calorie.
Non è proprio del mezzogiorno, ci ho lavorato due ore, quindi lo mangiamo all'una e un quarto. Ma non è troppo tardi. E comunque ne è valsa la pena.

La farcia dei cannelloni l'ho fatta così: quattro etti di salsiccia piemontese, aperta con la forbice e saltata in padella con un po' di vino bianco e una punta di cucchiaino di cumino (adoro quel profumo). Assieme ci sono andati quattro broccoletti già cotti al vapore e frantumati al coltello, che hanno cotto solo due o tre minuti. Tolta la saltiera dal fuoco ci ho messo dentro tre etti di ricotta, quella di Santo Stefano d'Aveto. Questa è la mia farcia, quasi finita.
Poi ho dovuto prepararmi i cannelloni. Quelli del commercio vengono venduti con l'indicazione di andare in forno direttamente, sempre che tu abbia una besciamella molto liquida. Non era il mio caso, motivo per cui li ho precotti qualche minuto.
Mi sono infine preparato la besciamella come al solito, 70 + 70 e un litro di latte, il sale e la noce moscata. Due mestoli di besciamella sono finiti nella farcia, per ammorbidirla.
Una volta riempiti li ho posizionati nella pirofila e ricoperti di besciamella, a cui ho aggiunto, per motivo più che altro estetico, un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Venti minuti di forno saranno più che bastevoli.

Eccoli:


Ancora pane alla birra

Oggi mi sono di nuovo fatto il pane alla birra.
Stessa identica ricetta del pane alla Guinness, ho cambiato solo due cose: la farina e la birra.
Come sfarinato ho usato la semola rimacinata di grano duro, come birra ho usato la Moretti rossa.
Ecco che quindi non sono capace a dire quale dei due sia più buono, e forse l'ho fatto apposta. Provali entrambi.
La prossima volta ci metterò qualcosa dentro. Olive? Mandorle? Chi può sapere cosa girerà per la testa....

Eccolo, in tutto il suo splendore


martedì 6 marzo 2012

Un nuovo pesto

Ma in cucina non c'è nulla di nuovo......
ci può essere soltanto il desiderio di ripetere, con qualche piccola modifica, ricette lette o ascoltate, o mangiate altrove.
L'imperativo categorico è però quello di usare gli ingredienti migliori che trovi, ma questo lo scrivo sempre.

Questo pesto, rispetto a quello genovese, ha due cambiamenti  il basilico e i pinoli, rispettivamente sostituiti con la trevigiana tardiva (o anche il radicchio rosso) e le noci. Per il resto è uguale. Eppure il gusto è sinceramente diverso. Non si tratta di giudicare cosa è più buono, si tratta di fare esperimenti.
Però questo pesto ha il vantaggio, non indifferente, di essere preparato un poco più rapidamente di quell'altro.
Le mie dosi possono essere dimezzate, diciamo che possono andare bene per sei.

Trevigiana due etti puliti, anche due e mezzo. Noci un etto già pulite. 50 grammi di parmigiano e 50 di pecorino. uno spicchio d'aglio o mezzo. Il sale e l'olio evo (riviera ligure) giusti.
Nel mixer metti prima noci, aglio e un po' di olio e fai la cremina. Poi aggiungi la trevigiana già fatta a pezzettini e il formaggio grattugiato. Frulli, aggiusti di olio e di sale et voilà

Bon appetit


domenica 4 marzo 2012

Gulaschsuppe

Ritorno a casa con una ricettina niente male, che ho mangiato più volte in montagna.
Sono anche riuscito, a spizzichi e bocconi, a "intervistare" il cuoco del rifugio, un giovane slavo, che me ne ha dato una versione molto ruspante.
Ve la propongo con le correzioni che ho fatto in corso d'opera.
Piatto unico.
Andrà bene per sei-otto persone un kilo di bovino adulto, quello che usi per il bollito. Lo devi tagliare a pezzettini piccoli, diciamo cubetti di un centimetro di lato. Quando li avrai tagliati ci versi sopra 40 grammi (un barattolino) di paprica piccante. Io ne ho messi 80, ma era veramente troppa. Forse anche 30 possono andare bene. Li mescoli con le mani e li metti in forno un quarto d'ora, o li fai rosolare in padella con un filo d'olio.
Nel frattempo ti sei affettato quattro etti di cipolle bianche , e li hai fatti soffriggere bene. Quando saranno pronti li sbatti nella carne e li mescoli ancora un po', assieme a due cucchiaini di comino, fin quasi a farli attaccare.
E' questo il momento di versare un litro di birra, di aspettare che evapori l'odore alcoolico e di portare a cottura la carne aggiungendo un paio di litri di brodo (vegetale), un po' per volta. Ci vorranno un paio di orette. Nel liquido di cottura aggiungerai due foglie di alloro e quattro patate, tagliate a pezzettoni. Questo perché verso la fine della cottura le estrapoli dalla casseruola, le frulli col minipimer e ce le risbatti dentro, dimodochè il tuo sugo diventi una meravigliosa crema bruna.
Crostini fatti come già spiegato. Stasera me li sono preparati solo con una fetta di pane di segale, per ricordarmi l'impero austroungarico, da cui presumo venga questa meraviglia.

P.S. c'è una lectio che assieme alle cipolle mette dei quadretti di peperone.
Un'altra lectio (questa volta acchiappata al volo) aggiungerebbe un cucchiaio di miele di acacia, dopo la birra. Certo, il tutto resta più delicato.
A voi decidere se piace più il ruspante o il delicato.

Eccola, con i crostini standard:



giovedì 1 marzo 2012

Marco Polo 6 - la Crème Clamart


Ritorno ai miei lettori dopo qualche giorno di pausa. Approfitto della settimana bianca, durante la quale mi sono fatto raccontare una bella ricetta, domani forse la metterò, se ce la fo.
Ma torniamo alla Clamart. L’abbiamo fatta a scuola e devo dire che è finita nel blog perché mi è piaciuta moltissimo.
Se si volesse svilirla la si potrebbe chiamare passata di piselli, ma è un’insolenza e non lo faccio.
La voglio raccontare così come me la ricordo, anche in seguito alle note che mi ha mandato il nostro Chef.

Si tratterà di fare un soffritto con preponderante quantità di cipolla, molto meno carota e sedano. Ma forse qualsiasi profumo ci butti dentro ci potrà star bene. Quando il soffritto è a tiro ci butti un kilo o mezzo kilo di piselli, a seconda di quanti siete, fai rosolare anche loro e li sfumi col vino bianco, NON tirato fuori dal frigorifero. Quando poi l’odore alcolico è svanito porti a cottura con brodo vegetale (ecco che qui ritornano i profumini: prezzemolo ecc ecc). Quanto metterne è il primo problema. Ricordati che farai un passato: non c’è il problema della durezza, sia per la natura del legume sia per il fatto che frullerai. Il problema semmai è la solita guerra contro l’acqua, che se ne metti troppa il sapore dei tuoi pisellini si perde. Certo, non è acqua, è brodo vegetale ma la crema deve sapere di piselli. Se poi la farai nella loro stagione, maggio e giugno, il loro sapore sarà ancora più deciso. Ma i surgelati non sono comunque male.
Per cui io ho optato per coprire d’acqua i piselli. Non di più. Più buono è il brodo che metterai più sarà saporita la tua crema. Ricordarsi che “buono” non vuol dire “grasso”, e quindi il brodo avanzato della gallina non è indicato (non buttarlo via, però).
Dopo un po’ (po’ che giudicherai assaggiando i piselli) arriva il momento del frullatore ad immersione. Non avere fretta! Gira lentamente, regalati qualche minuto di relax puro. C’è più relax nel frullare la Clamart che in una sauna, il minipimer ti aiuta a svuotare la mente…….
Adesso viene il bello. Ci vuole il Chinoise, non c’è santo. Se il tuo passato deve diventare una crema ci vuole il chinois. E non sarà neanche una cosa semplice, ti dovrai far aiutare da chi ti vuole bene. Dal chinois uscirà una crema omogenea, regolare, non liquida, nu babbà.
E qui si ritorna, a bomba, al motivo per cui a scuola si è fatta la Clamart, dopo la Parmentier. Questa ha le patate come legante, la Clamart invece ha, mancandole l’amido, la farina di riso. Se dovessi, nell’assaggio, rilevare che la tua crema è un po’ troppo liquida ti aiuterai con la farina di riso, diluita nell’acqua e versata nella crema. Ottimo aggregante.
Un secondo prima di portarla in tavola, quando la tua crema avrà una temperatura inferiore agli ottanta gradi, sbatti due o tre rossi (se hai usato un kilo di piselli) con 50cc di panna liquida strafresca. Versi nella crema, dai un'ultima mescolata e porti in tavola.

E i crostini?
I crostini li puoi fare prima di cominciare, ma bene. Intanto ti comperi il pane carrè senza la crosta, che risparmi un po’ di tempo. Poi fai i cubetti, ci versi un po’ di olio evo, non forte, un paio di cucchiai di reggiano, sale e molto poco pepe. Li mescoli con le tue manine d’oro e lo sbatti in forno nella teglia per la pizza, che a scuola devesi chiamare gastronorm……..




ricetta dedicata a Renato Cremona

domenica 19 febbraio 2012

KOS – 3


Michele cercò di dormire ancora un po’, era troppo presto e solo una debole luce filtrava dalla gelosia. L’aveva vista vestirsi, rapidamente, e non si era sentito di dirle neanche “Ciao”. Questo andarsene furtiva l’aveva un po’ irritato, e che maniere! Si sentiva, e non era la prima volta, abbandonato, ed era come al solito sensazione molto dolorosa. In fin dei conti non aveva mica fatto qualcosa di male. Certo che le donne sono proprio strane.
Un altro po’ di sonno gli avrebbe fatto bene, quel giorno iniziava il turno alle due. Ma si girava continuamente, strizzando gli occhi per volersi riaddormentare a tutti i costi, e non riusciva neanche a trovare una posizione comoda.
Vabbè, stamattina è così, mi farò la colazione. Tanto per fare qualcosa.
Intanto che faceva i soliti movimenti, da anni sempre gli stessi, non riusciva a staccarsi dalla testa il volto di quella donna. Pensò alla notte appena finita: non era stato poi così male. Gli sarebbe piaciuto un secondo round ma chissà, magari non aveva neanche ottenuto un buon voto…...
Ricacciò indietro quel pensiero. In fin dei conti sono come sono, non mi posso mica cambiare. Se Achiropìta cercava gli ardori di un giovanotto ha sbagliato di brutto i suoi conti.
Lui invece era rimasto contento, come quando resti con un buon sapore in bocca, e proprio per questo la paura di non vederla più lo pungeva più forte.
Cominciò a riflettere con la tazza in mano, se doveva cercarla lui o se invece avesse dovuto aspettare che fosse lei a fare il primo passo. Non era una decisione semplice da prendere. Quando bevve un sorso di caffelatte freddo capì che i minuti erano passati. Inutilmente. Non voleva sembrare in preda a una cotta come un ragazzino, si sarebbe trovato in una posizione di inferiorità, ma, ovviamente, non voleva rischiare di perdere questa occasione, che aveva tanto il sapore di una delle ultime. Non sapeva quasi niente di lei ma questo gliela faceva sentire vicina proprio come se avesse sempre saputo tutto.
Chissà come avrebbe potuto cambiare la sua vita vicino a lei; magari un ristorantino, quello che lui aveva sempre sognato, subito dietro la spiaggia di un’isola, Itaca, per esempio. Una specie di rifugio per due, ma sempre aperto a tutti, dove il pesce sarebbe passato dalla barca alla cucina nel breve volgere di un attimo. Lui in cucina e lei in sala. E qualche tavolo, non più di cinque, sotto la vite, per poter mangiare tranquillamente guardando il mare, lo stesso che Ulisse aveva solcato. E ovviamente il bello di condividere un lavoro che piaceva a entrambi.
Ma la realtà è un’altra cosa, e Michele annuiva e inseguiva puerilmente questi sogni, sempre con la tazza in mano.
Avrebbe visto la posta elettronica, suo canale preferenziale di comunicazione col mondo.
Intanto che scorreva l’elenco delle mail, decidendo seduta stante chi leggere e chi no, gli venne in mente che poteva chiedere un consiglio ad Adriano, il suo amico del cuore.
Si conoscevano da sempre e, anche se ultimamente non si vedevano poi tanto spesso, a motivo dei lavori che facevano, c’era fra loro una profonda sintonia, derivata non solo dal fatto di conoscersi da più di quaranta anni ma soprattutto dal fatto di avere condiviso cose tristi della vita, o perlomeno di averci provato. Forse condividere le cose spiacevoli non ne diminuisce la portata ma comunque aiuta a non sentirsi il centro dell’universo del dolore. Avevano convinzioni religiose del tutto diverse ma questo non impediva certo di parlarne. La scuola che avevano frequentato insieme almeno questo gli aveva insegnato, che non ci sono cose di cui non puoi parlare con un amico. Oltre a un certo piacere della cultura, talvolta fine a sé stesso. Adriano aveva un figlio, ancora al liceo, e viveva semplicemente e unicamente per lui, cercando con tutte le sue forze di non metterlo mai in mezzo ai problemi che aveva con la sua ex moglie. E di questo il ragazzo, Michele l’aveva ben realizzato, gli era profondamente grato. La casa di Adriano e della nonna era per lui un porto sicuro.
Questa è la mail di Michele ad Adriano:
“Carissimo,
ti scrivo dalla mia stanzetta del resort dell’isola di Kos, dove già sai che lavoro, con un contratto formalmente a tempo indeterminato ma per me a tempo determinato, anche se non so per quanto tempo: forse fino a quando non cambierà la direzione del vento. Spero che il tuo lavoro nel grattacielo vada bene. Qui, dopo tanta fatica per diventare capopartita, è già solo routine. Diceva giustamente mio nonno che se non sai che cosa vuoi veramente non riuscirai mai ad essere felice. Il mio problema è che voglio tante cose, forse troppe, e tutte subito e tutte insieme. E’ la mia nemesi.
Ti partecipo infatti che ne ho combinata un’altra delle mie.
Qui nel resort ho trovato una donna, forse sarebbe meglio dire una leonessa con una criniera nera, che mi ha fatto, di nuovo, uscire pazzo. Trattasi di donna, la cui età non ho ancora ben capito, e che non ho ancora chiesto, che a momenti vedo come un cucciolo bisognoso soltanto di essere tenuto appoggiato sul cuore, a momenti vedo come un’aquila, che ha bisogno invece di volare nello spazio infinito, libera e sola con sé stessa. E quando la vedo come un’aquila non so come avvicinarmi a lei, perché non sono capace a volare.
Ha la sventura di lavare le stoviglie in cucina, qui da noi, ma non si sente per nulla umiliata dal lavoro che fa. Dopo un primo approccio, timidissimo, da parte di entrambi direi, siamo usciti insieme iersera e ti dico, con la migliore franchezza di cui sono capace, che ho passato la sera più dolce da tanti anni a questa parte.
Sarà stato il posto, sarà stata la stagione, meravigliosa in questo momento, saranno state le ombre della sera, sarà stata una combinazione astrale ma mi sentivo appoggiato sopra una nuvoletta, mentre parlavo con lei. Ti ricorderai bene “Ille mi par esse deo videtur…”: ho passato la vita a cercare di ricreare quell’attimo che racconta Saffo, e ogni volta che ho immaginato di esserci vicino mi sono preso la solita trambata, come sai bene.
Abbiamo passato la notte insieme e non abbiamo dormito molto. Da tempo, vorrei dire immemorabile (anche se non è vero perché ricordo tutto e tutte) non ero così felice.
Stamattina l’aquila ha preso il volo, come una gazza, scappando senza neanche lasciarmi una carezza per incominciare la giornata, e lasciandomi perciò un certo amaro in bocca, come se mi avesse detto che si era pentita. E dire che io ci avevo messo sopra il cuore, perché sai bene che io mi butto a capofitto in questo genere di attività.
E adesso? Dimmelo tu che debbo fare, perché sono qui come l’asino di Buridano, con la tazza del caffelatte in mano. Il mio istinto, che sbaglia quasi sempre, mi suggerisce di andarla a cercare subito e di prendermela in braccio, anche davanti a tutti, perché no, e di coprirla di baci. Ma mi terrorizza l’idea che possa anche solo guardarmi di traverso.
E se facessi finta di niente? In fin dei conti una notte passata insieme non è molto. O no?
Ti prego, dimmi qualcosa, anche solo che mi capisci, perché io non mi sono mai ben capito.
Dai un bacio al ragazzo”.
miche

Si alzò dalla scrivania e uscì rapidamente. Era frastornato parecchio e pensò che una nuotata gli avrebbe rischiarato le idee.
Camminò quasi di corsa fino alla sua spiaggetta, contornata di rocce che garantivano un certo isolamento, e si buttò nell’acqua fresca del mezzogiorno, cercando di stare sott’acqua il più possibile, proprio perché voleva essere completamente avvolto dall’acqua. Michele adorava il mare, e sapeva bene il perché. Il mare era per lui il ricordo inconscio del liquido amniotico, quando soggiornava nell’ambiente più accogliente di tutti. Mentre tu pensi “hic manebimus optime” dopo qualche mese ne sarai cacciato via con una violenza tale da non poterne nemmeno avere il ricordo. Mezzora stette in acqua, cercando di non pensare a niente e riuscendoci, anche se solo per qualche attimo.
Il silenzio della spiaggia e l’affollamento dei pensieri furono complici, e quando si svegliò era quasi l’una. Non era tardi ma voleva incominciare a lavorare come al solito, dieci minuti prima del dovuto. Quindi tornò al resort e passò un attimo in cucina, furtivamente, a prepararsi due spaghetti con le cozze, le melanzane e il pane grattato, neanche un etto di pasta, la dose “tipica” dei ristoranti.
Entrò in camera per prepararsi al lavoro e vide che il computer lampeggiava, segno che c’erano nuove mail non lette. Mancavano venti minuti alle due, decise che il tempo c’era.
Si sedette e lesse:
“Caro Miche,
vedo che sei sempre eguale, e che riesci a essere croce e delizia di te stesso. Gli avvenimenti del passato non sono riusciti a insegnarti niente, neanche ad essere un po’ più sereno e distaccato dai casi della tua vita.
In particolare, riguardo quest’ultimo, le parole che scrivi, ma soprattutto quelle che non scrivi, mi inducono a consigliarti di accogliere questa (e vedrai che non è l’ultima!) possibilità di avere finalmente trovato la donna “giusta”.
Comunque sia se non ti butti non lo saprai mai, e questa leonessa dalla criniera nera, mi sta già parecchio simpatica. Mandami una vostra foto”.
Adriano

Il suo amico riusciva molto bene nel fargli da specchio, e sapeva come scrivere le cose che lui si sarebbe voluto sentir dire.
Rispose solo con “OK, sarai il primo a sapere il seguito”.
Uscì, vestito con la sua candida divisa, e con dentro una consapevolezza nuova.



giovedì 16 febbraio 2012

Capesante su besciamella al curry

Ricetta minimalista ma non per questo da considerare con pregiudizio.
Intanto ti prepari una semplice salsa al curry, con uno scalogno tritato finemente e 50 grammi di burro: non appena incomincia a prendere il colore ci metti due cucchiaini di curry e fai cuocere un attimo, tanto perché si amalgami bene.
Lasci lì e ti fai mezzo litro di besciamella, con normale dose di farina e burro (35+35). Non dimenticare il sale. A te decidere se metterci la noce moscata.
Adesso ti puoi dedicare tranquillamente alle capesante, che, se avrai una brigata sollecita, troverai con le noci già pulite, tutt'al più se vorrai le potrai tagliare a metà.
Le salti in padella con un altro po' di burro e alla fine gli dài una bella flambata con due dita di cognac (o brandy). Non farle cuocere troppo!



Ed ecco il piattino finito.
Come sempre a seconda di quante ne dài saranno antipasto o secondo.





martedì 14 febbraio 2012

Vitello tonnato al cubo


Ricetta dello Chef Gusella (per i genovesi: è lo Chef della trattoria “Da Franca”), che è un grande. Mi ha insegnato a cuocere il vitello nel sottovuoto, e non è poco.

Ci vorrà un pezzo di vitello: se comprerai un pezzo di quarto anteriore tanta meglio, nel senso che dovresti risparmiare significativamente. Io non sono riuscito a trovarlo.
Nel sacchetto del sottovuoto ci metti il tuo pezzo di vitello, la carotina, la costa di sedano, la cipolla, tutte a pezzettini, qualche gambo di prezzemolo e 9 grammi di sale bilanciato per kilo di carne, che vorrebbe dire due terzi di sale e uno di zucchero. Cioè: se la tua carne è un kilo metterai sei grammi di sale fino e tre di zucchero. Una mestolata di acqua.
Poi sigilli il sacchetto. Se hai la macchinetta del sottovuoto tanto meglio, se noi fai una nodo. L'importante è che il sacchetto di plastica sia resistente e non perda. Alla peggio ne puoi mettere uno dentro un altro.
A questo punto la carne è pronta, abbisogna solo di essere cotta almeno otto ore in acqua a 80°C. Nota bene: più il pentolone è grosso e più acqua ci sta e meglio potrai controllare la tua temperatura.
Io ho usato la sonda. Se non ce l'hai e non vuoi comperarla lo metti sul fornello più piccolo e controlli che solo ogni tanto si faccia qualche bolla.
Nelle otto ore che hai davanti farai tante belle cose fra le quali la salsa tonnata.

Gusella la fa così: nel frullatore metti due fette di pane ammollate nell'aceto bianco, venti capperi sotto sale, 300 grami di tonno sott'olio, il più buono che trovi, 2 filetti di acciughe salate diliscate bene.
Quando è tutto frullato bene ci aggiungi la maionese che ti sei fatto col minipimer come al solito, 300 cc di olio di semi di arachide, un uovo e un rosso, aceto bianco, sale, pepe bianco.
Mescoli la maionese alla tua salsa in quantità tale da ottenere la consistenza e la cremosità (o la granulosità) che desideri.
E anche questa è una cosa fatta.

Passate le otto, o nove o dieci ore, ti prendi il tuo vitello, lo spacchetti, conservando la brodazza, che è sapore allo stato puro, e lo tagli a cubetti. Se non li usi subito li metti ad aspettare nel loro brodo.

Quando è il momento di impiattare li appoggi su un lettino di salsa e guarnisci con due frutti del cappero.
Bon appetit, e questo è davvero buono!



domenica 12 febbraio 2012

Polpettone all'uso zingaro

Pubblico anche io questa ricetta, nell'accorata speranza che i miei Amici, lettrici e lettori, non l'abbiano già letto, e sulla carta stampata e in altri blog. Dal che se ne deduce che non sia poi questa grande novità.

La Maestrina che abita con me, divoratrice di romanzi, mi segnala che, nell'ultimo romanzo che ha letto uno dei personaggi è l'Artusi, il quale racconta una ricetta che gli è particolarmente piaciuta.
E' giusto dire subito che il romanzo è "Odore di chiuso", di Marco Marvaldi, Ed. Sellerio.
Questo giovane scrittore riesce, a mio personalissimo modo di vedere, a ricreare la prosa di Artusi con grande naturalezza.

Ecco quindi la ricetta:
"Tonno sott'olio gr. 500
peperoni gialli n. 2
pane del giorno avanti gr. 300
olive nere gr. 100
uova n. 2
latte dl. 2
olio tre cucchiaiate
burro gr. 20
pangrattato gr. 40
panna della più fine dl. 0,5
costole di sedano lunghe un palmo n. 3
prezzemolo alcune foglioline.

Avendo a disposizione olive taggiasche il piatto ne guadagnerebbe.
Passare i peperoni sulla fiamma onde spellarli con facilità, soffregandoli sulla carta gialla; mondarli, privarli dei semi e tagliarli a pezzetti. In un'ampia padella fare soffriggere il sedano a sottili fettine e quando avrà preso il colore aggiungere il peperone e far cuocere per il tempo di un saluto a una bella dama. Mettere nel frattempo il pane ad ammollare nel latte dopo avergli fatto alzare il bollore. Aggiungere indi il tonno, dopo averlo sbriciolato con una forchetta, e lasciare che si ritiri. In successione, sempre girando, aggiungere olive snocciolate, il pane ammollato e strizzato, prezzemolo, sale e pepe. Lasciar quindi raffreddare.
In una ciotola riprendere il composto, intridendolo con le uova, e lavorandolo bene colle mani; poi legare con la detta panna.
Si unga quindi una teglia di rame stagnato e si spolverizzi con la metà del pangrattato; versare quindi il composto, coprire la superficie col resto del pangrattato e cuocerlo nel forno o nel forno da campagna.
Questa dose potrà bastare per quattro persone; ed anche di più, se si accontentano".















Qualche attento osservatore noterà che il pan grattato non è completamente tostato. Tanta era l'ansia di assaggiarlo che l'ho mangiato anzitempo. Comunque era perfetto.

martedì 7 febbraio 2012

Stinco di maiale alla Guinness

Lo sapete bene che io vado a periodi, o a mode, ed è ritornata quella della Guinness. Metterei la Guinness dappertutto, mi piace troppo, anche se debbo dire che, nella mia piccola cerchia di amici, sono pressoché l'unico. Pazienza, me la bevo da solo, anche perché quella strana pallina bianca mi fa impazzire.
Avevo pertanto gli stinchi portati dalla montagna, conservati sottovuoto, che imploravano ormai di essere cotti in qualche maniera. Lo stinco, alla fine della fiera, più che sbatterlo in forno con un po' di odori in forno non si fa, ed era proprio quello che volevo evitare. Volevo una ricettina nuova. Mi è venuto in soccorso questo blog, Murzillo Saporito, carino nel nome e nei contenuti, con la ricetta che cercavo io, ed è proprio questa: Stinco alla Guinness.
E' consigliata per Natale ma che vuol dire? Ogni domenica può essere Natale se si cucina per amore.
Non ho cambiato proprio niente. Solo che l'ho fatta nella paellera, che era l'unico contenitore che mi permetteva di deglassare il fondo di cottura.
Fra l'altro ho anche assaggiato le mele annurche, buonissime crude e strabuone cotte.

Ecco la mia pirofila. Posso ben dire che la Guinness ha dato agli stinchi quella marcia in più che cercavo.
Provare per credere.



domenica 5 febbraio 2012

Pane alla Guinness

C'è tanta gente che ha un cattivo rapporto con il cibo, non lo dico solo io, lo si può anche leggere qui: ballerina
Io, che ho la fortuna di avere un buon rapporto con il cibo (anzi troppo buono) ho invece un cattivo rapporto con la lievitazione. Ho anche una recente ricetta che, pur avendone la possibilità (foto pronte) non ho pubblicato per questo motivo. Non so perché, forse la mia cucina non è abbastanza calda, non ho termosifoni su cui appoggiare le cose, insomma non mi riesce. Motivo per cui quei rari casi in cui mi riesce diventano occasione di grande felicità, e scusate se è poco....

Da Marta e Donatella di Chef per caso avevo a suo tempo fatto anche questo pane, che iersera ho deciso di rifare.
E' un pane veramente "qualsiasi", ma invece dell'acqua userai una lattina di Guinness, non di frigo, naturalmente.
Quindi il solito mezzo chilo di farina, il solito cubetto di lievito, un cucchiaino e mezzo di zucchero e altrettanto di sale.
Mescoli i tuoi ingredienti, come al solito tenendo lontano il sale dal lievito, fai la palla e la metti a lievitare un'ora in una terrina, ungendola bene con un filo di olio.
Al caldo e coperta.
Dopo un'ora le dai un pugno, così ti sfoghi anche, la reimpasti brevemente e aspetti ancora una ventina di minuti (cosiddetta "doppia lievitazione").  In  questi 20 minuti metti una pentola di acciaio inox nel forno a 180 °C, cosicchè, quando saranno scaduti, potrai versare il tuo impasto con movimento deciso nella pentola e aspettare tre quarti d'ora.
E' così bello il mio pane che gli ho fatto due foto, cosa rara per il mio blog.
Grazie di cuore a chef per caso!










Marta e Donatella consigliano: puoi usarlo per le tartine, con formaggi a piacere, speck, cetriolini wurstel e senape. Concordo in tutto.......

martedì 31 gennaio 2012

I libri di cucina

Ho aggiornato con gli ultimissimi acquisti, in verde, l'elenco dei miei libri di cucina, che vedo spesso consultato.
Sappiate che posso prestare, regalare, spedire.........

lunedì 30 gennaio 2012

Frittata con i broccoli

Due ricettine ultrarapide, per non perdere l'abitudine di scrivere quello che cucino e che mi piace. La prima ricettina è mutuata da una quiche che ho fatto nel passato, di grande soddisfazione.
Si tratta di comperarsi un po' di broccoli e di farli a pezzettini abbastanza piccoli da poter essere cotti nel cestello a vapore in pochi minuti. In questi minuti farai a cubetti una fetta di speck spessa 5-10 millimetri che matterai in padella a prendere il colore. Poi la levi e nella stessa padella rosoli una mezza cipolla, un cucchiaio di olio evo e i broccoli.
Quando tutto è pronto rompi le uova, le sbatti, le sali, ci metti un po' di ricotta setacciata e mescoli tutto assieme.
Termini la frittata alla solita maniera.
Più veloce di così........




Filetti di triglie? No.........


Oggi si mette prima la foto, che è carina, e sembra una montagnola di filetti di triglie saltati in padella.

Invece no.
Trattasi del solito finocchio, saltato in padella con l'olio e il peperoncino. Quando ha incominciato a prendere il colore ci ho versato dentro tre cucchiai del mio aceto, che è il frutto di un regalo del mio amico Walter, che ultimamente si è presentato con un barattolino con dentro la madre, anzi la Muë', scritto in genovese.
Questo aceto che mi sono preparato ha il grande pregio di non essere aspro. Per cui ho terminato la cottura come al solito, incoperchiato e a fuoco dolce.
Per soprammercato mi sono anche mangiato la barba del finocchio, perchè sono goloso, anzi "leccardon".


Per un contorno "diverso".





giovedì 26 gennaio 2012

KOS - 2


Achiropìta scendeva lentamente la stradina che dal resort portava al porto vecchio, lastricata di piccoli ciottoli bianchi, resi lisci dal tempo. Camminava lentamente, misurando un passo dopo l'altro, seguendo con la mente certi suoi disegni che indovinava nelle linee fra i sassi, i margini dei quali non voleva assolutamente calpestare.
Questo la aiutava a svuotare la mente completamente, così come quando lavava montagne di piatti, e quella mattina anche a concentrarsi su un unico pensiero.
Si domandava il senso di quello che era successo, e soprattutto il fine, ma non riusciva a trovare risposta. Era profondamente impaurita dal fatto di essersi abbandonata completamente, anche se solo per qualche ora: aveva ancora addosso tutte le cicatrici del passato, quando, sempre sbagliando, si era immaginata di avere finalmente trovato la sua mezza mela, e aveva preso certe sonorissime facciate il cui rimbombo le era ancora nelle orecchie. Tutte quelle cicatrici non sarebbero andate più via, e la più recente addirittura colava ancora alcune gocce di sangue.
Non se la sentiva proprio di rimettersi in gioco, troppo era stato il dolore e poca , e breve, la gioia. Fra l'altro c'era tutto il resto, i figli soprattutto, quel miserabile ma necessario lavoro e quel meraviglioso sogno che accarezzava ogni sera prima di addormentarsi, quello di un forno tutto suo.
D'altro canto quell'uomo era riuscito ad incantarla. Non solo la sua vicinanza era piacevole da morire, e le storie che raccontava erano magicamente trasfigurate nelle sue parole, ma essergli accanto le dava tranquillità e fiducia nel futuro, sensazioni che non aveva fino ad allora conosciuto. Mai le era successo di cedere al primo appuntamento, anche se spesso era stata lei a decidere l'intimità. Ma iersera tutto era stato diverso.
Camminava e pensava, assorta, fino a che un ciottolo più sporgente degli altri non la fece scivolare, cadendo per fortuna sulla parte più morbida e strappandole un piccolo sorriso.
Decise improvvisamente che sarebbe andata da Maia. C'era solo qualche rampa di scale da fare e poi sarebbe arrivata.
Maia era la donna con il terzo occhio, e più di una volta l'aveva aiutata a capire cosa aveva dentro il cuore. Di lei nessuno sapeva nulla se non il posto dove abitava, che era casa e studio a un tempo, e anche punto di appoggio per gatti randagi bisognosi di cure. Maia era una donna senza età, con il viso come quello delle Sibille della cappella Sistina, solcato dalla vita, ma principalmente dai racconti delle vite degli altri. Faceva le carte, solo agli amici, e barattava la sua conoscenza del futuro per un po' di cibo per gatti. Ma soprattutto aveva le parole giuste per spingerti a percorrere il tuo destino. Anche lei faceva parte del mito, del resto come tutto in quell'isola della Grecia.
Achiropìta entrò e subito fu prese alla gola da un odore vagamente dolciastro, quell'odore della carne troppo frollata, quella che Maia dava ai suoi gatti.
“Ti aspettavo”, si sentì dire da dietro una tenda, ed ebbe subito un tuffo al cuore. Era tanto che non andava da Maia e già questo era per lei un segno che qualcosa sarebbe successo, così come era la più lampante dimostrazione che Maia aveva davvero il terzo occhio.
“Come stai, piccola mia?” Maia le venne incontro a braccia aperte, con una gatta dolcemente agganciata alle sue spalle. “Ciao Maia, sai che quando vengo da te è perchè non sto bene”, “lo so bene, siediti che ci beviamo un ouzo, quello che mi mandano da Lesbo, poi mi racconterai”.
Intanto che beveva lucidava le idee su quell'uomo e su quello che avrebbe raccontato, e per un attimo si domandò se aveva fatto bene ad andare lì, o se non fosse stato meglio non pensarci più, da subito. Ma era seduta lì e Maia non era solo la donna dal terzo occhio, era per lei quasi una madre, e le voleva un bene dell'anima. Achiropìta non aveva conosciuto la mamma, fuggita subito dopo il parto, e crescere solo con il padre era stato difficile, anche se c'era in qualche modo riuscita, ma non come come avrebbe voluto che fosse.
Incominciò allora a raccontare di quell'uomo, del loro primo incontro, e di come il suo parlare, forse un po' troppo da signore, l'avesse colpita. Non l'aveva facilmente dimenticato e nei giorni successivi l'aveva guardato da lontano, per capire che tipo potesse essere, senza peraltro capire, perchè sul lavoro era efficiente e irreprensibile. Si capiva che cucinava animato da una grande passione, e tutte le cose che preparava, anche lei era riuscita ad assaggiare qualcosa, avevano il sapore dell'amore che ci aveva messo nel cucinarle. Anche nel rapporto con i suoi sottoposti era certamente strano: vi erano giorni in cui sembrava che fossero amiconi e le battute e le risate si sprecavano, vi erano poi dei giorni in cui la luna sembrava avere modificato irrimediabilmente il suo atteggiamento, immotivatamente immusonito e triste. Terribile questa luna, che anche a lei faceva spesso l'effetto di svegliarsi una mattina con una tristezza salata dentro il cuore di cui non riusciva a liberarsi.
Le raccontò anche di come fosse rimasta sorpresa, perchè non se lo sarebbe mai aspettato, quando lui le chiese di prendere l'aperitivo insieme e di come, per proteggersi, gli avesse detto che non poteva stare oltre le sette, quando invece non aveva niente da fare. E di come era stata bene, su quella seggiola traballante, e soprattutto di come era stato facile aprirsi con lui e parlare liberamente, cosa che non succedeva da troppo tempo. La sensazione di leggerezza l'aveva aiutata a decidere, e quando lui le aveva cinto la vita con il braccio aveva avuto un sussulto di gioia. Non dimenticò di dire che avevano passato la notte insieme, ma si rese conto che Maia lo sapeva già.
Maia la guardava raccontare e gesticolare animatamente, e quel pulcino dalla testa nera sempre arruffata le faceva, ogni volta che la incontrava, grande tenerezza. Le voleva bene e non voleva proprio che soffrisse ancora: sapeva però che Achiropìta aveva la testa dura più del marmo, e che se avesse deciso di iniziare una nuova storia nulla e nessuno l'avrebbe distolta, anche a costo di andare incontro alla propria rovina. Quest'uomo poi la incuriosiva: mai Achiropìta era stata così precisa e entusiasta nel descriverle qualcuno.
Capì che avrebbe dovuto, in caso di cattive notizie, aggiustare quello che le avrebbero detto le carte.
Sparecchiato il tavolino incominciò a mescolare le carte, puntigliosamente come al solito, dedicando a quell'attività tutto il tempo che riteneva necessario, con lentezza, sempre con la stessa sequenza di movimenti. Quel mazzo di tarocchi, ingiallito e quasi ammuffito, le era stato regalato da una zingara serba, di ritorno dalla festa delle Saintes Maries de la Mer, che aveva intuito che entrambe condividevano il terzo occhio.
Non era semplice fare le carte, soprattutto quando in esse leggeva cose così brutte da farla stare male: infatti iniziare a farle ad Achiropìta le procurò un doloroso crampo allo stomaco.
Ciò non ostante incominciò, anche perchè la donna era curiosa e ansiosa.
Anche se era venerdì, giorno perfetto per quell'attività, la lettura delle carte si rivelò da subito difficile. E' ovvio che Maia non avrebbe mai potuto dire “E' l'uomo giusto” ma Achiropìta si sarebbe almeno aspettata un piccolo incoraggiamento. Non ottenne neppure quello. Anzi la carta dell'appeso fu quella che comparve più frequentemente, dimostrando in un certo qual modo che per capire l'essenza di una relazione bisogna guardarla a rovescio. Achiropìta sperava ardentemente, in cuor suo, di vedere la carta degli amanti, che non volle invece uscire. Gli occhi le si stavano allagando e capiva solo a tratti la voce di Maia, che le diceva che le cose erano ancora ferme, e che le carte non riuscivano a penetrare nei loro cuori.
Uscì salutando in fretta, profondamente delusa, e trovandosi al punto di partenza. Erano le dieci e e si sentiva di schifo. Capì che non era solo la delusione, era anche fame.
Decise di andare da Irene, una sua amica, disordinata dell'amore come lei, con la quale avrebbe potuto confidarsi.
La trovò nel suo kafenion dalle porte dipinte di azzurro, con le fotografie ingiallite dei parenti appese alle pareti alternate a immagini sacre. C'erano anche due vecchi seduti ai tavoli, così immobili da sembrare impietriti dall'età.
Irene era stata una donna bellissima, ardente nell'espressione, con due lanterne azzurre splendenti al posto degli occhi, incorniciate da una capigliatura biondissima, che tradiva piuttosto un'origine nordica, o meglio normanna. I disagi della vita e le scelte sbagliate l'avevano fatta invecchiare prima del dovuto, sotto il biondo il grigio si indovinava soltanto, e la prolungata esposizione al sole giustificava e mascherava i solchi profondi del viso. Ma restava una donna dolcissima, specie per Achiropìta. Si erano conosciute da pochi anni, casualmente, mentre facevano la spesa al mercato, ed erano diventate subito amiche. Non potevano vedersi spesso ma fra loro si era creata un'intimità profonda, e alla prima occhiata Irene capì che la sua amica aveva un problema. Dopo averla abbracciata e ricambiato il suo bacio la fece sedere comoda e le portò un caffè e un piattino di melomakàrona, ben sapendo quanto lei fosse golosa di quei dolcetti.
Dopo aver divorato i primi due dolci incominciò a raccontare, per la seconda volta quella mattina, la sua ultima avventura. Irene sorrideva, e si vedeva chiaramente che era contenta per lei.
“Segui il tuo cuore, Chiropì”, le disse, “cerca di rubare tutta la felicità che puoi, datti tutta e prendi tutto. Non lasciare niente di tutto ciò che puoi prendere e non avrai rimpianti. Se quest'uomo è veramente come dici ti prego di non farmelo neanche conoscere, ché te lo ruberei”. E rise forte, facendo sussultare le due statue di pietra.
Irene aveva capito tutto, e Achiropìta fu confermata, se mai ve ne fosse stato bisogno, nella sua intenzione di non lasciarsi scappare quella che riteneva, a torto o a ragione, l'ultima,e la migliore occasione.
Non aveva più paura.



domenica 22 gennaio 2012

Marco Polo 5 - patate al gratin

Lo sanno tutti che all'istituto alberghiero si cucinano (e si mangiano) tante patate, ma anche in certe pensioni.....
comunque sia le patate sono proprio buone, e fatte così ancor più. Per me è stata una piccola scoperta, e non mancheranno di certo nei miei futuri menù. Chapeau al mio insegnante di cucina.
Mi scuso se la ricetta non è forse delle più originali ma non devo fare l'originale a tutti i costi, devo mettere ricette gustose e non troppo difficili.
Fai le patate a fette spesse un paio di centimetri e le metti a bollire. Quando saranno belle morbide le disponi sulla tua pirofila, una vicina all'altra. Ti sei già comperato una fetta di prosciutto cotto un po' spessa, e con il suo giusto grasso: la taglierai a cubetti e, per aggiungere sapore a sapore, la farai leggermente rosolare in padella, appena quel che basta perchè si veda il marroncino dell'avvenuta reazione di Maillard. Con il prosciutto ti sei comperato anche analoga fetta di Emmenthal o di formaggio a pasta dura a tuo piacimento, e anch'essa hai ridotto a cubettini.
Ti serve ancora un mezzo litro di besciamella che te la puoi agevolmente preparare mentre scaldi il forno a 180 °C.
Quindi sulle patate distribuisci i due tipi di cubetti e versi la besciamella, spargendola bene dappertutto con il cucchiaio. Ti manca una spolverata di pane grattuggiato e qualche fiocchetto di burro (tanto per non perdere l'abitudine).
La tirerai fuori dal forno quando avrà preso il colore.





L'unica domanda è: antipasto, primo, secondo, piatto unico?


Un minestrone "diverso"

Oggi pomeriggio mi sono rimesso dietro ai ravioli di pesce. Avevo il mio ripieno surgelato, l'esperienza dell'altra volta e domani mattina mi farò un qualche sughetto di pesce. Non mi sono venuti male e non si sono appiccicati. Come al solito la dose della pasta era troppa e non potevo farne mille, anche se domani saremo in quattro. La prossima volta basteranno due uova e 250 g di farina.

Con la pasta avanzata mi sono fatto certe fettuccine al coltello veramente spettacolose. Ho cercato di usarle in maniera creativa. Avevo già preparato il minestrone, che dopo le feste è sempre un'ottima cena, non mi vergogno a dirlo con la busta surgelata, a cui faccio qualche integrazione. Per il solito motivo che cerco di fare nove cose insieme mi sono sbagliato con l'acqua, dimodochè quando è stato pronto era proprio asciutto asciutto. Allora le fettuccine le ho bollite a parte, poi le ho sbattute nel minestrone assieme a un paio di cucchiai di acqua della pentola. Un filo d'olio e il parmigiano.
So di mangiare proprio bene!


domenica 15 gennaio 2012

Aspic casereccio

L'aspic è una delle ricette più gettonate del mio blog. Per me è un piccolo mistero, nel senso che non penso che sia una preparazione di grandi qualità. Buono è buono, ci mancherebbe, come tutte le cose che faccio.....

Mi arriva a questo proposito, insieme ai miei cugini, un pacco di squisitezze dalla Calabria. Non mi faccio scappare l'occasione. Ho pensato questo aspic e l'ho messo in pratica: ed è buonissimo. Antipasto, secondo, stuzzichino, è proprio tutto. Mi dispiace di averne fatto così poco, ma rimedierò.

Un paio di etti di soppressata calabrese, quella rossa di peperoncino, fatta a cubettini, e un paio di etti di provola silana, bella fresca che sa di latte, anche lei a cubetti, sono stati gli ingredienti di base. Del resto nel vecchio aspic c'erano (banalmente) prosciutto e formaggio. Dovevo quindi studiare qualcosa da aggiungere, che non fossero i (soliti anche se buoni) cetriolini.
Ci ho pensato tre giorni e ho fatto anche delle prove "sul campo". Ho deciso che ci sarebbe potuto stare bene del sedano. Stanotte ho avuto anche l'illuminazione del quarto ingrediente, le olive, che però ho deciso nere taggiasche, già snocciolate, e comprate dalla mia migliore fornitrice.

Come sempre, detto fatto. Ieri pomeriggio ho confezionato il mio "nuovo" aspic, con un bel litrozzo di gelatina aromatizzata all'aceto bianco, quella in cubetti.
Oggi l'ho tirato fuori dal frigo, l'ho fotografato e me lo sono spazzolato....







Very good, sarebbe piaciuto anche ai miei amici Michele e Achiropìta, che voi conoscete.......

sabato 14 gennaio 2012

Risotto con la salsiccia

Il sabato è un giorno più rilassato, puoi pensare alle cose da fare con più distacco, e fra queste c'è anche il cucinare, che non diventa la solita corsa contro il tempo.
Motivo per cui, oltre a riflettere alle ricette già promesse, mi è balzata agli occhi l'immagine di un risottino che avrei potuto tranquillamente produrre, senza bisogno di tante ricerche, sia sullo stampato sia sull'informatico.
Un paio di etti di salsiccia sgranata sono finiti in un padellino, a rosolare e a cedere un po' di grasso, dopodichè un mezzo bicchiere di vino bianco li ha portati a cottura.


Ho deciso che con la salsiccia ci sarebbe stata bene la trevigiana tardiva, un cespo. Una cipolla di Montoro, come al solito soffritta a parte. Il Vialone nano che mi era rimasto in casa l'ho finito. Non dico il peso perchè ho vergogna.
La trevigiana l'ho tagliata trasversalmente in tre parti, perché sono, dal basso verso l'alto, di durezza diversa. Per cui saltarle in padella con un filo d'olio tutte e tre insieme mi è parso poco furbo. Ecco come ho tagliato la trevigiana e i relativi tempi di cottura:




Naturalmente il tempo totale, cioè quello della parte più dura, che viene messa in padella subito, è solo di cinque minuti.

















Ed ecco come mi è venuta:







A questo punto ho potuto incomiciare la cottura, al solito modo che non sto a ripetere, del risotto.
Nota bene: avevo in freezer un certo contenitore con un litro e mezzo circa di buon brodo, ma non ricordo più di cosa..... sbattendolo nel microonde a scongelare la parte grassa affiora molto agevolmente e levarla è stato del tutto semplice. Levi grasso ma non sapore.

E allora il mio risottino è andato, con la salsiccia buttata dentro a metà cottura e la trevigiana a due minuti dalla fine. Un po' di burro per mantecare. Due minuti di attesa, quelli che ti servono per apparecchiare.
Dato che l'imperativo del risotto era: "sgrassare", ci ho bevuto sopra un po' di bollicine, Berlucchi Franciacorta '61, rosè, regalo di chi mi vuole bene.

Voto della famiglia (richiesto ma non indotto): 9/10 e 9/10. Tanto mi può bastare.


venerdì 13 gennaio 2012

Minestra d'orzo altoatesina

Eccolo, il primo post di cucina del 2012. Lo so, è un po' tardi ma fra lavoro e scuola solo iersera ho trovato il momento giusto per giocare un po' ai pentolini.
Non ho voluto a ragion veduta cercare la ricetta su internet, principalmente perchè non ne ho avuto il tempo, ma solo sui miei libri, e quella del Guarnaschelli mi è sembrata la più interessante.
La minestra di orzo ha come ingrediente particolare lo speck, fatto a cubetti: cercate quindi per cortesia di comperare il migliore che trovate. Lo speck, per chi non lo sapesse, è quel prosciutto crudo leggermente affumicato tipico dell'Italia nordorientale. Può essere altoatesino (coscia disossata, aromatizzata al ginepro e affumicata a freddo e stagionato da 5 a 7 mesi) ma può essere anche quello di Sauris (UD), salato a secco, affumicato con legna più resinosa e stagionato un po' meno. Il bello dello speck è la delicatezza dell'affumicatura. Se poi vi dovesse piacere un più pronunciato sapore affumicato nulla vieta che aggiungiate anche un po' di bacon.

Dato che la verdura è l'ingrediente principale del piatto, e lo speck poteva essere un'aggiunta di un avanzo di un giorno di festa, non ho fatto il soffritto, che comunque porterebbe via un po' di sapore ai cubetti, che invece devono cederlo solo quando sono in bocca.
Quindi nella pentola, con tre litri d'acqua circa, ho buttato: due spicchi d'aglio incamiciati, una grossa cipolla di Montoro, un pugno di prezzemolo tritato, tre carotine, un porro, due grosse patate, tre coste di sedano, tutto fatto a fettine o a pezzetti piccoli. Anche lo speck a cubetti. Mi sono dovuto aiutare con un po' di dado di carne, anche esso comperato in Trentino, in giusta dose per tre litri di acqua.  Non ho usato la pentola di terracotta perchè non ne avevo una così grossa, se riducete le dosi la pentola di terracotta sarà perfetta. Quando il "minestrone" ha preso il bollo l'ho fatto andare una decina di minuti e poi ho aggiunto l'orzo perlato, 450 grammi, e ho fatto semplicemente proseguire la cottura per 40 minuti, durante i quali l'orzo è gonfiato e ha assorbito l'acqua, diventando bello morbido.
Se vorrai nel piatto potrai aggiungere un filo di olio e un po' di parmigiano, ma è già buonissima così.
Se poi ne fai tanta tanta o tantissima ti durerà svariati giorni.
Eccola:



N.B. prossime ricette: un aspic un po' particolare, e il pandolce alla genovese. E naturalmente il secondo round dei ravioli di pesce.
Stay tuned.
euge

sabato 7 gennaio 2012

KOS


Ecco, per tutti i miei lettori, il primo post del nuovo anno, che non è di cucina. 
L'ha scritto il mio alter ego, che a torto si ritiene un letterato, sia pur incompreso: l'ha "covato" per qualche mese e l'occasione della vacanza di fine anno gli ha fornito quella mezza giornata di solitudine necessaria per  lucidare le idee, sedersi davanti alla tastiera e iniziare a raccontare, con amore, naturalmente....

"Era stata molto dura ottenere un posto di capopartita in quel resort dell'isola di Kos. C'era riuscito tramite quel suo amico, Aldo, a cui, nella vita precedente, aveva fatto dei piccoli favori, tutti tesi a confermare una grande amicizia, e che al momento buono era stata parimenti ricambiata.
Ciononostante aveva dovuto superare una selezione abbastanza dura, motivo di stress: non era più un ragazzo, e questo era senza dubbio un handicap rispetto a certi aitanti giovanotti, bravini, per carità, ma tanto look e poca sostanza, specie in cucina.
Aveva presentato il suo curriculum, peraltro discreto, e aveva dovuto impegnarsi per un periodo di lavoro piuttosto lungo.
Solo, in quell'isola del Dodecaneso, sia pur a quattro kilometri dalla costa turca, non era ancora certo di avere fatto la scelta giusta.
Non era stata una fuga, del resto non aveva legami, aveva un buon lavoro che gli forniva uno stipendio di tutto rispetto e qualche microsoddisfazione ma la cucina era stata troppo esigente: gli aveva chiesto di dedicarsi solo a Lei. Anche se lasciare tutto gli aveva procurato grande paura il desiderio di cambiare vita, e di fare “davvero” il cuoco, aveva finalmente prevalso. 
Tante erano che cose che aveva dovuto lasciare, e l'andare a stare in un'isola l'aveva anche obbligato a scegliere, con grande precisione, ciò che era veramente necessario portarsi dietro, e lasciarsi dietro orpelli di varia entità e natura.
Del resto l'isola era incantevole, e presto ogni nostalgia si sciolse in quel clima ricco di natura e di storia.

Il suo Chef, come tutti gli Chef che aveva conosciuto, era assillato dalla paura di perdere il potere, quel piccolo potere che ha ogni Chef, il potere di comandare un certo numero di persone, e il suo comportamento era più dettato dalla paura dell'insubordinazione che dal desiderio di costruire un squadra, una squadra che funzionasse come quegli orologi svizzeri che una volta lo stato italiano dava in dotazione ai capistazione.
Ma Michele lo aveva già ben inquadrato, motivo per cui il suo atteggiamento era stato di puro servilismo, quello che del resto era a lui richiesto.
Gli era stata affidato il ruolo di chef poissonier, che, visto che il resort era in un'isola, era comunque un ruolo di grande impegno e responsabilità: si sarebbe visto nel volgere dei giorni come sarebbe andata, ma lui non aveva nessuna paura: sapeva come cavarsela.
La cucina non era niente male, attrezzata piuttosto bene e con una splendida macchina di cottura a induzione. Anche la brigata era stata una piacevole sorpresa, tutti colleghi e colleghe più giovani di lui ma aperti e disponibili, che lo avevano accolto non come un vecchietto ma come un fratello maggiore, e questo era stato il suo più bel regalo di arrivo.
Nella sua partita aveva due commis di venti e di venticinque anni, due giovanotti quasi belli come i bronzi di Riace, Gheorghiòs e Nicòlaos, disponibili e volenterosissimi ma impreparati a decidere qualsiasi cosa in prima persona. Li avrebbe addestrati lui, che non si preoccupassero.
Anche la sua sistemazione era buona. Aveva ben capito che non poteva aspettarsi una terrazza sul mare ma comunque la sua camera non era troppo piccola, e la cosa che a lui interessava di più, il wi-fi, era perfetto: grande velocità, 54 Mbps. Era la sua vera finestra sul mondo, vedere senza essere visti, parlarsi senza toccarsi, non dover chiedere il permesso a nessuno.

Scese giù per il servizio della sera. Aveva da preparare “soltanto” 330 cocktail di gamberi e 120 aragoste alla catalana, ma non era il caso di preoccuparsi: la struttura e il personale che aveva dietro di sé avrebbero garantito un perfetto risultato. Del resto quanto volte aveva allestito pranzi, per amici e non, completamente da solo, anche per una trentina di persone. Era solo una questione di organizzazione. Andò a vedere i crostacei: erano davvero molto belli e i suoi cocktail sarebbero stati perfetti. Affidò ai due ragazzi i compiti da eseguire e la sequenza con cui farli e iniziò a guardarsi intorno.
Erano solo quarantotto ore che era lì ma sentiva salire un antico desiderio.

Adocchiò, nella folla della brigata, una donna dai lunghi capelli corvini, da tempo non pettinati, e dagli occhi altrettanto neri, così neri da non potervi distinguere la pupilla dall'iride, dall'espressione aggressiva, non più giovanissima ma di età comunque indefinibile, forse sulla quarantina, forse meno. Gli sembrò alta quasi come lui, ma i capelli probabilmente lo ingannavano. La divisa e il lavoro che stava facendo raccontavano il suo ruolo, quello di plongeuse, il più faticoso.
Sulle prime non capì bene se fosse una “bella” donna o solo una donna “interessante”: le braccia gli ricordavano un po' la Madonna del Tondo Doni ma la vita era aggraziata, sfumante in due fianchi di tutto rispetto. Il seno, non piccolo, non era per niente pendulo, e lasciava immaginare due capezzoli fieramente rivolti in avanti.
Chissà cosa c'era dietro e cosa dentro quella donna, che emanava un'animalità incredibile, fiutabile a lunga distanza.
Con la scusa di controllare come lavoravano i ragazzi, e dando loro qualche piccola dritta per far prima e meglio, chiese loro chi fosse la donna. Gli risposero che sapevano soltanto che si chiamava Achiropìta, e che solo da pochi giorni lavorava nel resort. Michele, che aveva fatto il liceo classico, sapeva che quel nome si riferiva a un ritratto “miracoloso” della Vergine, “non dipinto da mano umana”. Di più non riusci a sapere.
Si concentrò sul servizio, che fu, insieme naturalmente al resto delle portate, veramente splendido. Si riservò una mezza aragosta e convenne fra sé e sé, che era semplice e squisita, anche se lo Chef la definì soltanto discreta. Ma non c'era niente di cui stupirsi, sarebbe stato strano il contrario.
Quella sera, verso l'una, tornò nella sua cameretta, stanco, soddisfatto e soprattutto incuriosito. Come sempre succedeva faticò parecchio a prendere sonno, uno dei tanti segni di invecchiamento che lo torturavano.
La mattina dopo, avendo un'oretta libera, girò un po' per l'isola, cercando lì in giro qualche posticino tranquillo e riparato, per potersi fare un bagno in pace. Era giugno e non c'era ancora molto caldo, se mai su un'isola possa mai esserci quel caldo che si sente in continente. L'acqua era meravigliosa, e il fondo era visibile con nitore, e bellissimo. Un momento di pace col mondo come quello meritava una sigaretta, e che diamine! Se la accese, e anche se non era una Marlboro,la assaporò con piacere. “Lo so che fa male”, pensò.
Arrivò al lavoro con dieci minuti di anticipo, appena in tempo per vedere, non visto, lo Chef che, stupido aguzzino, si era imbarcato in una violenta reprimenda contro Achiropìta. Michele non capì per quale motivo, era troppo lontano. Sentiva solamente delle grida, e vedeva lo Chef brandire dei coltelli evidentemente non troppo lucenti. La donna stava zitta ma dagli occhi uscivano certe fiamme soltanto invisibili. Era ovvio che avesse un bisogno estremo di lavorare, altrimenti non sarebbe rimasta un minuto di più lì, e lo Chef si sarebbe trovato un orecchio in meno.
Dopo la sfuriata Michele si avvicinò alla donna, sentendo che quella avrebbe potuto essere una buona occasione per stabilire un contatto. Fra l'altro lui era un capopartita, ben riconoscibile nella sua divisa. “Potenza della gerarchia”, pensò.
“Non te la prendere, è solo un cretino. Cosa avresti combinato?”
La donna lo guardò con aria fiera ma ancora impaurita. “Dice che non ho lavato bene i coltelli, ma con questo sapone è il massimo che riesco a fare”. Achiropìta aveva sentito, con grande facilità, il passaggio di un fluido di “sim-patia”, che poi è il “soffrire insieme”, e la sua risposta era stata a un tempo spiegazione e richiesta di condivisione.
Potenza della comunicazione non verbale! Michele incominciò, sommessamente, a raccontarsi, con tutta la naturalezza di cui era capace, vista la situazione, e stette lì cinque minuti ancora; lei, continuando a lavare e china nella plonge, ascoltò, e non sembrava infastidita, solo ancora un po' sospettosa.
Michele si congedò con la scusa del lavoro, semplicemente. Riuscì a rubarle un mezzo sorriso, più degli occhi che della bocca, ma se ne stette, anzi, ne fu parecchio contento.
Il servizio del mezzogiorno e quello della sera andarono bene, come sempre la qualità della cucina dipende dall'eccellenza delle materie prime e lì erano veramente eccellenti. Ma la testa di Michele era altrove, affascinata da quella donna, mezza Giunone e mezza Minerva, e anche mezza Afrodite, se ne convinse.
Chissà cosa nascondeva dietro quegli occhi e soprattutto chissà che impressione lui le aveva suscitato.
Dopo una settimana di saluti cortesi ma formali, dovuti anche alla differenza di orari di lavoro, un pomeriggio Michele, nel suo giorno di festa, la aspettò alla fine del turno, soprattutto per vederla in abiti “civili”. Realizzò che era più bassa di lui, e che avrebbe potuto agevolmente passarle il braccio dietro la vita.
Achiropìta aveva un abitino di cotone stampato, di un colore leggermente più scuro del lillà, quasi un violetto, su cui spiccavano certe apine nere, variamente orientate. Il decolletè era ben esposto ma senza nessuna volgarità e l'orlo del vestito era appena sopra il ginocchio. Un vestitino estivo, non trasparente ma sottile, da cui si poteva facilmente capire ciò che vi era di sotto.
Era l'ora dell'happy hour e le disse, con una titubanza che solo lui sentì: “Verresti a bere qualcosa con me?”. Riuscì a sorprenderla e a imbarazzarla, anche se la sua carnagione olivastra gli impedì di vedere l'arrossimento. Non se lo sarebbe aspettato. Dopo un solo attimo di riflessione rispose, decisa, “Sì, ma alle sette devo andare a casa”. “Non c'è problema, anche io più tardi ho un impegno”, mentì Michele, con grande naturalezza.
Trovarono, a un dipresso dalla strada principale, un'attività commerciale pomposamente autodefinitasi “bar”, corrispondente a tre tavolini disposti in mezzo a due case, ciascuno con due seggiole impagliate, ma fra quelle due case c'era uno scorcio di mare talmente bello che non c'era proprio nessun bisogno dell'aperitivo.
Ma bevvero lo stesso, lei ordinò un bicchiere di Retsìna, lui, anche per farsi coraggio, un Metaxa col ghiaccio.
Entrambi erano affascinati dalla vista, soprattutto lei, che probabilmente non era nativa di Kos. Dopo qualche minuto, intenti a bere, Michele disse: “Allora, raccontami la tua vita in quest'ora che ci resta”. “Non è una gran bella vita da raccontare”, rispose lei. “E neanche lunga. Lavoro con quel personaggio orribile perchè non posso farne a meno. Sono di Bodrum, l'antica Alicarnasso e ho due figli, che ho dovuto affidare a mia madre. Devo mantenerli tutti e tre con il mio lavoro e, ti assicuro, alla fine del mese i soldi non mi bastano mai. Ma non sarà sempre così. Faccio la sguattera ma sono molto brava a fare il pane, me lo ha insegnato il fratello di mio padre. Quando potrò, aprirò un negozio soltanto mio, e venderò il miglior pane di tutta la città”.
Michele ascoltava, e beveva parole e Metaxa, avidamente. Gli occhi neri di lei si agitavano in continuazione e da essi sprigionavano la speranza e l'entusiasmo di un futuro più bello.
Era bello chiaccherare in quell'angolo tranquillo, con la luce della sera che scemava a poco a poco, e parimenti le luci dell'isola si accendevano una ad una.
Entrambi in cuor loro desideravano che il tempo rallentasse, e che quei momenti, dolcissimi, durassero almeno tutto il resto della loro vita. Quando furono le sette, marcate dal suono di una campana in lontananza, nessuno dei due vi fece caso, perchè in quel momento erano così vicini, e così bisognosi di avere qualcuno vicino, che non volevano interrompere quella piccola magìa.
Fu quindi naturale per Michele chiedere all'oste di portare qualcosa da mangiare, e per Achiropìta, bellezza non dipinta da mano umana, accettare quel muto invito a pranzo.
Dimenticò per un'oretta di essere cuoco, e le dolmàdes, involtini di foglie di vite, e la moussakà furono ancora meglio delle sue aragoste.
Quando fu troppo tardi, anche per quel bar, si congedarono con tanti ringraziamenti e una mancia principesca, per quell'oste che era stato il loro involontario Cupido.
Ritornarono al resort, abbracciati, come lui si era figurato solo qualche ora prima, e lei, sentendo il suo braccio stringerla forte, ne provava una sensazione di grande pace.
Trascorsero la notte insieme e Michele capì compiutamente la bellezza di affondare la testa fra i suoi lunghi capelli. Sopratutto riuscì, come mai era successo prima, a svuotare completamente la sua testa, a non pensare più a nulla se non a sentire il battito del cuore di lei, divenuto sincrono al suo. Lei non aveva mai incontrato un uomo così, del quale anche solo l'abbraccio le colmava il cuore.
Non fu una notte da diciottenni, fu una notte così dolce che a diciotto anni non si riesce neanche a immaginare.
La mattina presto, impaurita dall'essersi donata così totalmente a un estraneo, ma che estraneo non si era dimostrato, e per così dire “chiamata” dalla brezza di terra, Achiropìta si vesti in fretta e, senza neanche un bacio, fuggì nelle viuzze di Kos, spaventata dalla felicità.
Anche lui era sveglio ma fece finta di dormire. In quel momento non avrebbe trovate le parole, se mai ve ne fossero state".

5.1.2012




giovedì 29 dicembre 2011

Dieta disintossicante, ovvero il polpettone di cardi

La Lady che abita nella mia stessa casa è maggiormente consapevole di me della necessità di una qualche disintossicazione corporale, che faccia seguito non solo ai bagordi natalizi ma anche all'inevitabile strascico di dolciumi, cioccolaterie varie e pasticceria di alta classe che li accompagna e li peggiora.
Ecco che stasera mi fa trovare questo notevole, dimostrando, se ve n'era bisogno, che non cucina niente male, solo che non riesce a divertirsi quanto me. Ma bando alle ciance, eccolo, lo splendido.

Ci vorranno quattro patate grosse e un cardo grosso.
Sul cardo c'è tanto da dire, perchè è una cosa buona e interessante: andate a dar un'occhiatina a questo sito, che ha anche un nome molto accattivante, alimentipedia.it
Il cardo grosso era in terrazzo, aspettava il momento favorevole ed è stato molto soddisfatto anche lui. Le patate sono state bollite e poi schiacciate, il cardo mondato, cotto al vapore e frullato col minipimer.
E' finito tutto nella boulle e sono stati aggiunti: uno spicchio d'aglio tritato, un sacco di maggiorana fresca appena tritata, tre uova intere, tre cucchiai di parmigiano, un etto di mortadella tritata (lo sapevate che la mortadella è disintossicante?).

Il miracolo è stato l'amalgama, "giusto" alla prima, di tutti gli ingredienti.
E' bastato metterlo nella teglia, unta con un filo d'olio, e spolverarlo con il pane grattuggiato, perchè finisse la sua storia dentro il forno, caldo a 180 °C, per 30-40 minuti, magari verso la fine anche con una botta di grill.
Come mi sono disintossicato bene!!!



Nota bene: ritengo che questo sia, a meno di strani accadimenti, l'ultimo post del 2011.
Ne ho scritti, se ho ben fatto il conto, 168, quasi uno ogni due giorni.
Spero di non avervi annoiato e spero che le mie parole abbiano fatto non solo risvegliare l'appetito ma anche fatto un po' sorridere. E' questo il premio a cui ambisco di più.
Buon 2012 a tutti, con nuove ricette e nuove avventure........

l'orsacchiotto cuciniere