Ecco, per tutti i miei lettori, il primo post del nuovo anno, che non è di cucina.
L'ha scritto il mio alter ego, che a torto si ritiene un letterato, sia pur incompreso: l'ha "covato" per qualche mese e l'occasione della vacanza di fine anno gli ha fornito quella mezza giornata di solitudine necessaria per lucidare le idee, sedersi davanti alla tastiera e iniziare a raccontare, con amore, naturalmente....
"Era stata molto dura
ottenere un posto di capopartita in quel resort dell'isola di Kos.
C'era riuscito tramite quel suo amico, Aldo, a cui, nella vita
precedente, aveva fatto dei piccoli favori, tutti tesi a confermare
una grande amicizia, e che al momento buono era stata parimenti
ricambiata.
Ciononostante aveva
dovuto superare una selezione abbastanza dura, motivo di stress: non
era più un ragazzo, e questo era senza dubbio un handicap rispetto a
certi aitanti giovanotti, bravini, per carità, ma tanto look e poca
sostanza, specie in cucina.
Aveva presentato il suo
curriculum, peraltro discreto, e aveva dovuto impegnarsi per un
periodo di lavoro piuttosto lungo.
Solo, in quell'isola del
Dodecaneso, sia pur a quattro kilometri dalla costa turca, non era
ancora certo di avere fatto la scelta giusta.
Non era stata una fuga,
del resto non aveva legami, aveva un buon lavoro che gli forniva uno stipendio di tutto rispetto e qualche microsoddisfazione ma la cucina
era stata troppo esigente: gli aveva chiesto di dedicarsi solo a Lei.
Anche se lasciare tutto gli aveva procurato grande paura il desiderio
di cambiare vita, e di fare “davvero” il cuoco, aveva finalmente
prevalso.
Tante erano che cose che aveva dovuto lasciare, e l'andare
a stare in un'isola l'aveva anche obbligato a scegliere, con grande
precisione, ciò che era veramente necessario portarsi dietro, e
lasciarsi dietro orpelli di varia entità e natura.
Del resto l'isola era
incantevole, e presto ogni nostalgia si sciolse in quel clima ricco
di natura e di storia.
Il suo Chef, come tutti
gli Chef che aveva conosciuto, era assillato dalla paura di perdere
il potere, quel piccolo potere che ha ogni Chef, il potere di
comandare un certo numero di persone, e il suo comportamento era più
dettato dalla paura dell'insubordinazione che dal desiderio di
costruire un squadra, una squadra che funzionasse come quegli orologi
svizzeri che una volta lo stato italiano dava in dotazione ai
capistazione.
Ma Michele lo aveva già
ben inquadrato, motivo per cui il suo atteggiamento era stato di puro
servilismo, quello che del resto era a lui richiesto.
Gli era stata affidato il
ruolo di chef poissonier, che, visto che il resort era in un'isola,
era comunque un ruolo di grande impegno e responsabilità: si sarebbe
visto nel volgere dei giorni come sarebbe andata, ma lui non aveva
nessuna paura: sapeva come cavarsela.
La cucina non era niente
male, attrezzata piuttosto bene e con una splendida macchina di
cottura a induzione. Anche la brigata era stata una piacevole
sorpresa, tutti colleghi e colleghe più giovani di lui ma aperti e
disponibili, che lo avevano accolto non come un vecchietto ma come un
fratello maggiore, e questo era stato il suo più bel regalo di
arrivo.
Nella sua partita aveva
due commis di venti e di venticinque anni, due giovanotti quasi belli
come i bronzi di Riace, Gheorghiòs e Nicòlaos, disponibili e
volenterosissimi ma impreparati a decidere qualsiasi cosa in prima
persona. Li avrebbe addestrati lui, che non si preoccupassero.
Anche la sua sistemazione
era buona. Aveva ben capito che non poteva aspettarsi una terrazza
sul mare ma comunque la sua camera non era troppo piccola, e la cosa
che a lui interessava di più, il wi-fi, era perfetto: grande
velocità, 54 Mbps. Era la sua vera finestra sul mondo, vedere senza
essere visti, parlarsi senza toccarsi, non dover chiedere il permesso
a nessuno.
Scese giù per il
servizio della sera. Aveva da preparare “soltanto” 330 cocktail
di gamberi e 120 aragoste alla catalana, ma non era il caso di
preoccuparsi: la struttura e il personale che aveva dietro di sé
avrebbero garantito un perfetto risultato. Del resto quanto volte
aveva allestito pranzi, per amici e non, completamente da solo, anche
per una trentina di persone. Era solo una questione di
organizzazione. Andò a vedere i crostacei: erano davvero molto belli
e i suoi cocktail sarebbero stati perfetti. Affidò ai due ragazzi i
compiti da eseguire e la sequenza con cui farli e iniziò a guardarsi
intorno.
Erano solo quarantotto
ore che era lì ma sentiva salire un antico desiderio.
Adocchiò, nella folla
della brigata, una donna dai lunghi capelli corvini, da tempo non
pettinati, e dagli occhi altrettanto neri, così neri da non potervi
distinguere la pupilla dall'iride, dall'espressione aggressiva, non
più giovanissima ma di età comunque indefinibile, forse sulla
quarantina, forse meno. Gli sembrò alta quasi come lui, ma i capelli
probabilmente lo ingannavano. La divisa e il lavoro che stava facendo
raccontavano il suo ruolo, quello di plongeuse, il più faticoso.
Sulle prime non capì
bene se fosse una “bella” donna o solo una donna “interessante”:
le braccia gli ricordavano un po' la Madonna del Tondo Doni ma la
vita era aggraziata, sfumante in due fianchi di tutto rispetto. Il
seno, non piccolo, non era per niente pendulo, e lasciava immaginare
due capezzoli fieramente rivolti in avanti.
Chissà cosa c'era dietro
e cosa dentro quella donna, che emanava un'animalità incredibile,
fiutabile a lunga distanza.
Con la scusa di
controllare come lavoravano i ragazzi, e dando loro qualche piccola
dritta per far prima e meglio, chiese loro chi fosse la donna. Gli
risposero che sapevano soltanto che si chiamava Achiropìta, e che
solo da pochi giorni lavorava nel resort. Michele, che aveva fatto il
liceo classico, sapeva che quel nome si riferiva a un ritratto
“miracoloso” della Vergine, “non dipinto da mano umana”. Di
più non riusci a sapere.
Si concentrò sul
servizio, che fu, insieme naturalmente al resto delle portate,
veramente splendido. Si riservò una mezza aragosta e convenne fra sé
e sé, che era semplice e squisita, anche se lo Chef la definì
soltanto discreta. Ma non c'era niente di cui stupirsi, sarebbe stato
strano il contrario.
Quella sera, verso l'una,
tornò nella sua cameretta, stanco, soddisfatto e soprattutto
incuriosito. Come sempre succedeva faticò parecchio a prendere
sonno, uno dei tanti segni di invecchiamento che lo torturavano.
La mattina dopo, avendo
un'oretta libera, girò un po' per l'isola, cercando lì in giro
qualche posticino tranquillo e riparato, per potersi fare un bagno in
pace. Era giugno e non c'era ancora molto caldo, se mai su un'isola
possa mai esserci quel caldo che si sente in continente. L'acqua era
meravigliosa, e il fondo era visibile con nitore, e bellissimo. Un
momento di pace col mondo come quello meritava una sigaretta, e che
diamine! Se la accese, e anche se non era una Marlboro,la assaporò
con piacere. “Lo so che fa male”, pensò.
Arrivò al lavoro con
dieci minuti di anticipo, appena in tempo per vedere, non visto, lo
Chef che, stupido aguzzino, si era imbarcato in una violenta
reprimenda contro Achiropìta. Michele non capì per quale motivo,
era troppo lontano. Sentiva solamente delle grida, e vedeva lo Chef
brandire dei coltelli evidentemente non troppo lucenti. La donna
stava zitta ma dagli occhi uscivano certe fiamme soltanto invisibili.
Era ovvio che avesse un bisogno estremo di lavorare, altrimenti non
sarebbe rimasta un minuto di più lì, e lo Chef si sarebbe trovato
un orecchio in meno.
Dopo la sfuriata Michele
si avvicinò alla donna, sentendo che quella avrebbe potuto essere
una buona occasione per stabilire un contatto. Fra l'altro lui era un
capopartita, ben riconoscibile nella sua divisa. “Potenza della
gerarchia”, pensò.
“Non te la prendere, è
solo un cretino. Cosa avresti combinato?”
La donna lo guardò con
aria fiera ma ancora impaurita. “Dice che non ho lavato bene i
coltelli, ma con questo sapone è il massimo che riesco a fare”.
Achiropìta aveva sentito, con grande facilità, il passaggio di un
fluido di “sim-patia”, che poi è il “soffrire insieme”, e la
sua risposta era stata a un tempo spiegazione e richiesta di condivisione.
Potenza della
comunicazione non verbale! Michele incominciò, sommessamente, a
raccontarsi, con tutta la naturalezza di cui era capace, vista la
situazione, e stette lì cinque minuti ancora; lei, continuando a
lavare e china nella plonge, ascoltò, e non sembrava infastidita,
solo ancora un po' sospettosa.
Michele si congedò con
la scusa del lavoro, semplicemente. Riuscì a rubarle un mezzo
sorriso, più degli occhi che della bocca, ma se ne stette, anzi, ne
fu parecchio contento.
Il servizio del
mezzogiorno e quello della sera andarono bene, come sempre la qualità
della cucina dipende dall'eccellenza delle materie prime e lì erano
veramente eccellenti. Ma la testa di Michele era altrove, affascinata
da quella donna, mezza Giunone e mezza Minerva, e anche mezza
Afrodite, se ne convinse.
Chissà cosa nascondeva
dietro quegli occhi e soprattutto chissà che impressione lui le
aveva suscitato.
Dopo una settimana di
saluti cortesi ma formali, dovuti anche alla differenza di orari di
lavoro, un pomeriggio Michele, nel suo giorno di festa, la aspettò
alla fine del turno, soprattutto per vederla in abiti “civili”.
Realizzò che era più bassa di lui, e che avrebbe potuto agevolmente
passarle il braccio dietro la vita.
Achiropìta aveva un
abitino di cotone stampato, di un colore leggermente più scuro del
lillà, quasi un violetto, su cui spiccavano certe apine nere,
variamente orientate. Il decolletè era ben esposto ma senza nessuna
volgarità e l'orlo del vestito era appena sopra il ginocchio. Un
vestitino estivo, non trasparente ma sottile, da cui si poteva
facilmente capire ciò che vi era di sotto.
Era l'ora dell'happy hour
e le disse, con una titubanza che solo lui sentì: “Verresti a bere
qualcosa con me?”. Riuscì a sorprenderla e a imbarazzarla, anche
se la sua carnagione olivastra gli impedì di vedere l'arrossimento.
Non se lo sarebbe aspettato. Dopo un solo attimo di riflessione
rispose, decisa, “Sì, ma alle sette devo andare a casa”. “Non
c'è problema, anche io più tardi ho un impegno”, mentì Michele,
con grande naturalezza.
Trovarono, a un dipresso
dalla strada principale, un'attività commerciale pomposamente
autodefinitasi “bar”, corrispondente a tre tavolini disposti in
mezzo a due case, ciascuno con due seggiole impagliate, ma fra quelle
due case c'era uno scorcio di mare talmente bello che non c'era
proprio nessun bisogno dell'aperitivo.
Ma bevvero lo stesso, lei
ordinò un bicchiere di Retsìna, lui, anche per farsi coraggio, un
Metaxa col ghiaccio.
Entrambi erano
affascinati dalla vista, soprattutto lei, che probabilmente non era
nativa di Kos. Dopo qualche minuto, intenti a bere, Michele disse:
“Allora, raccontami la tua vita in quest'ora che ci resta”.
“Non è una gran bella vita da raccontare”, rispose lei. “E
neanche lunga. Lavoro con quel personaggio orribile perchè non posso
farne a meno. Sono di Bodrum, l'antica Alicarnasso e ho due figli, che ho dovuto
affidare a mia madre. Devo mantenerli tutti e tre con il mio lavoro
e, ti assicuro, alla fine del mese i soldi non mi bastano mai. Ma non
sarà sempre così. Faccio la sguattera ma sono molto brava a fare il
pane, me lo ha insegnato il fratello di mio padre. Quando potrò, aprirò un negozio soltanto mio, e venderò il miglior pane di tutta
la città”.
Michele ascoltava, e
beveva parole e Metaxa, avidamente. Gli occhi neri di lei si
agitavano in continuazione e da essi sprigionavano la speranza e
l'entusiasmo di un futuro più bello.
Era bello chiaccherare in
quell'angolo tranquillo, con la luce della sera che scemava a poco a
poco, e parimenti le luci dell'isola si accendevano una ad una.
Entrambi in cuor loro
desideravano che il tempo rallentasse, e che quei momenti,
dolcissimi, durassero almeno tutto il resto della loro vita. Quando
furono le sette, marcate dal suono di una campana in lontananza,
nessuno dei due vi fece caso, perchè in quel momento erano così
vicini, e così bisognosi di avere qualcuno vicino, che non volevano
interrompere quella piccola magìa.
Fu quindi naturale per
Michele chiedere all'oste di portare qualcosa da mangiare, e per
Achiropìta, bellezza non dipinta da mano umana, accettare quel muto
invito a pranzo.
Dimenticò per un'oretta
di essere cuoco, e le dolmàdes, involtini di foglie di vite, e la moussakà
furono ancora meglio delle sue aragoste.
Quando fu troppo tardi,
anche per quel bar, si congedarono con tanti ringraziamenti e una
mancia principesca, per quell'oste che era stato il loro involontario
Cupido.
Ritornarono al resort,
abbracciati, come lui si era figurato solo qualche ora prima, e lei,
sentendo il suo braccio stringerla forte, ne provava una sensazione
di grande pace.
Trascorsero la notte
insieme e Michele capì compiutamente la bellezza di affondare la
testa fra i suoi lunghi capelli. Sopratutto riuscì, come mai era
successo prima, a svuotare completamente la sua testa, a non pensare
più a nulla se non a sentire il battito del cuore di lei, divenuto sincrono
al suo. Lei non aveva mai incontrato un uomo così, del quale anche
solo l'abbraccio le colmava il cuore.
Non fu una notte da
diciottenni, fu una notte così dolce che a diciotto anni non si
riesce neanche a immaginare.
La mattina presto,
impaurita dall'essersi donata così totalmente a un estraneo, ma che
estraneo non si era dimostrato, e per così dire “chiamata” dalla
brezza di terra, Achiropìta si vesti in fretta e, senza neanche un
bacio, fuggì nelle viuzze di Kos, spaventata dalla felicità.
Anche lui era sveglio ma
fece finta di dormire. In quel momento non avrebbe trovate le parole,
se mai ve ne fossero state".
5.1.2012
Bravo, bravissimo il mio caro amico lontano e 'testimone di Genova', come sei ormai conosciuto tra i miei amici locali.
RispondiEliminaSe nella cucina ci metti entusiamo e passione, qui ci metti anche tanto talento.
Mi piacerebbe tanto continuare a leggere le cose che scrivi e, anche se so che sono privilegiata a leggerle per prima...., vorrei che scrivessi più spesso.
E se apri un blog di scrittura, non ti preoccupare che non muori, anzi, avrai uno stimolo in più per scrivere, e solo un'ora di meno per il sonno.
Un abbraccio
Bel racconto....che sia di fantasia o meno poco importa...è molto vero e trasmette emozione. Bravo!!! a presto leggerti ancora...
RispondiEliminaUna sorprendente lettura dalle straordinarie attenzioni al bello che la vita può offrire, piccoli particolari che regalano momenti di emozione e aiutano a stare meglio... all'improvviso.
RispondiEliminaComplimenti!
Grazie per tutti i complimenti!
RispondiEliminaMa non è finita..... Achiropìta sta girando, a vuoto, per Kos, cercando di capire cosa sia successo.....