Ieri è arrivato a casa un bel cavolfiore romano, quelli verdi e appuntiti, e io, rovistando fra i neuroni residui, cercavo una ricetta di un risottino che avevo fatto una volta a Bologna, direi nel 2005, ma né lì né, più semplicemente, fra le mie tante carte malriposte, è saltata fuori.
Ma il cavolfiore era comunque sul tavolo, e mi chiamava con impeto.
Allora ho cercato sulla rete, dove c'è tutto per definizione, ma "quella" ricettina non l'ho più trovata.
Ho ripiegato su questa, del sito www.bioexpress.it, che cito e quindi ringrazio.
La mia non è proprio eguale, ma da essa prende l'aire.
Gli ingredienti per quattro saranno il riso, diciamo quattro etti, mezzo chilo di cavolfiore verde come sopra citato, 150 g di formaggio fresco di capra, bello morbido e cremoso, uno spicchietto d'aglio, due foglie di alloro, la buccia e il succo di un'arancia, olio evo, sale, pepe. Un litro e mezzo di brodo.
Io ho dato una botta di vapore alle cimette del cavolfiore, non mi sentivo di sbatterle in padella così, ma un minimo, solo per ammorbidirle leggermente. Poi sono volate in padella con l'olio, l'aglio e l'alloro e le ho fatte finire di insaporire.
Il riso: come al solito. L'ho raccontato tante volte che ho quasi vergogna. Tostare con il burro, il vino bianco a temperatura ambiente e la cottura con il brodo, un poco per volta. I minuti sono sempre sedici. A dieci aggiungi il cavolfiore. A dodici il succo e la buccia dell'arancia grattugiata. A quattordici il caprino. A sedici spegni.
Due o tre minuti di riposino. Nel piatto un filo d'olio e una grattata di pepe nero sul momento.
Semplice, carino, gustoso.
Bon appetit!
Un blog fatto a uso e consumo degli amici, vecchi e nuovi, per trascinarli in questa grande passione, e perché "invitare qualcuno a mangiare da te significa incaricarsi della sua felicità per tutto il tempo che sta sotto il tuo tetto", e anche perché "cucinare per le persone alle quali si vuole bene significa impegnare del tempo pensando ai loro gusti, alla loro crescita e al loro benessere".
Andiamo a incominciare
Basta fare un giro al mercato.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento