Non ho vergogna a dirlo: mi piacciono le mele. Ma mi piacciono le mele buone, non quelle che hanno un sentore di muffa. Sta di fatto che ultimamente non riesco a comperare mele buone: sono disgraziato.
Mi trovo così in casa una quindicina di mele che mi fanno schifo ma che non voglio mettere nel sacchetto dell'immondizia, dove sarebbe il loro termine naturale.
Ricordandomi l'antica ricetta della Charlotte (vai a vedere) sabato ho deciso di sbarazzarmene in una maniera del tutto vergognosa.
Ne ho sbucciate una decina e le ho tagliate a pezzetti. Sono finite nella saltiera con burro e zucchero di canna. Diciamo mezz'etto di burro, forse un'etto. Tre i cucchiai di zucchero. Un cucchiaino di cannella in polvere. Un solo chiodo di garofano. Una volta rosolate ci ho buttato dentro un mezzo bicchiere di brandy, dove aveva soggiornato dieci minuti un pugno di uvetta. Ancora cinque minuti di cottura.
Finite? No: avendo un'avanzo della ganache dei macarons (vedi) dentro la sac a poche ho pensato bene di finircela sopra.
N.B. il giorno dopo tirate fuori dal frigo non sembravano neanche più mele.
Eccole:
Un blog fatto a uso e consumo degli amici, vecchi e nuovi, per trascinarli in questa grande passione, e perché "invitare qualcuno a mangiare da te significa incaricarsi della sua felicità per tutto il tempo che sta sotto il tuo tetto", e anche perché "cucinare per le persone alle quali si vuole bene significa impegnare del tempo pensando ai loro gusti, alla loro crescita e al loro benessere".
Andiamo a incominciare
Basta fare un giro al mercato.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
Già gli occhi si riempiono di colori, colori di pomodori e peperoni, caldi, rossi e carnosi come certe labbra che si offrono senza vergogna, ma anche caldi come il giallo di pani appena sfornati, sotto la cui crosta si indovina una tenerezza nuova.
E la verdura? ci offre tutte le tonalità dei verdi, che raccontano sommessamente di prati e di orti, innaffiati da uomini tranquilli in maniche di camicia, durante silenziosi tramonti.
Come si fa a non amare il cibo? Semplice, basta non amare gli umani.
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